ISRAELE: UN NUOVO GOVERNO PER TUTTE LE EMERGENZE
La crisi politica più lunga della storia d’Israele si è risolta con l’insediamento di un nuovo governo di emergenza nazionale. Ma oltre al coronavirus, quali sono gli altri obiettivi del nuovo esecutivo?
ISPI 18 Maggio 2020
Comincia con un ritardo di tre giorni sul previsto, la staffetta di governo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz. Il nuovo governo israeliano di emergenza nazionale – il primo dopo oltre un anno di stallo e tre elezioni andate a vuoto – sarà guidato per i primi 18 mesi dall’ex premier e per i secondi 18 dall’ex capo di stato maggiore, oggi leader di quel che resta dell’alleanza Blu e Bianco. Si tratta dell’esecutivo più numeroso della storia del paese: 36 ministri e 16 vice che hanno giurato ieri davanti alla Knesset dopo un ritardo causato dalla sollevazione di alcuni membri ‘anziani’ del Likud, il partito di centro-destra di Netanyahu, che non avevano ricevuto incarichi di governo. In base all’intesa, Netanyahu assumerà la guida del paese per un anno e mezzo, mentre l’ex rivale Gantz, che ora assume la poltrona di ministro della Difesa e di vicepremier, gli succederà nel novembre 2021.
Staffetta contro il coronavirus? |
Dopo oltre 500 giorni di impasse e tre tornate elettorali, i 120 deputati della Knesset hanno approvato un governo per i prossimi 3 anni, guidato ‘a staffetta’ da Netanyahu e Gantz. Il parlamento ha approvato l’esecutivo con 73 voti a favore e 49 contrari dopo oltre due mesi di consultazioni. Ad allungare i tempi è stata la volontà di Netanyahu, primo ministro più longevo della storia d’Israele, nel rifiutarsi di fare un passo indietro malgrado sia imputato per corruzione. Gantz ha sempre detto di non voler governare con lui, ma quando ha accettato di farlo – anche a causa dell’emergenza coronavirus – ha perso la metà dei deputati del suo partito. L’ex numero due di Blu e Bianco, Yair Lapid, è ora all’opposizione e ha più volte attaccato il nuovo governo affermando che gli israeliani “meritano di meglio”. L’attuale esecutivo sarà chiamato a far fronte alla crisi economica determinata dall’epidemia di coronavirus, che in Israele ha contagiato almeno 16.500 persone e ne ha uccise 268. |
…o contro la magistratura? |
Il processo contro Netanyahu, imputato per corruzione, si apre il prossimo 24 maggio. La Corte Suprema israeliana ha stabilito che ciò non gli impedisce legalmente di governare. Sebbene esista una legge che impedisce ai ministri israeliani di rimanere in carica se imputati, tale dispositivo non esiste nel caso del primo ministro. Netanyahu è inquisito per frode e corruzione in tre diversi procedimenti a suo carico. La prima udienza era prevista per il 17 marzo, ma è stata rinviata alla prossima settimana a causa dell’emergenza coronavirus. Il rischio di una condanna in tribunale non è cancellato, ma fortemente indebolito: in base all’accordo di governo infatti, il Likud – e nella fattispecie Netanyahu – può nominare tutti o buona parte dei rappresentanti della Commissione delle nomine giudiziarie. Questo fungerebbe da garanzia politica anche per il futuro, visto che nel maggio 2021 il mandato di Rivlin scadrà e non è impensabile ipotizzare che l’interesse di Netanyahu verta proprio sulla carica presidenziale. Benché rivesta un ruolo cerimoniale e simbolico, il presidente della Repubblica gode dell’immunità dai processi. |
Pronti all’annessione? |
Oltre a rispondere agli effetti della pandemia e allontanare dal premier dal lungo braccio della giustizia, il nuovo governo ha anche un terzo obiettivo immediato: l’annessione delle colonie e, successivamente, di migliaia di chilometri quadrati nella Valle del Giordano, il confine orientale della Cisgiordania, che dovrebbe un giorno costituire la base territoriale per un futuro stato palestinese. L’accordo di coalizione di Netanyahu con Gantz fissa al 1° luglio la data per iniziare il processo di annessione unilaterale delle colonie. Non è del tutto chiaro quante colonie il governo è intenzionato ad annettere. La Cisgiordania è sotto il controllo israeliano dalla guerra dei sei giorni del 1967, e sul suo territorio vivono oggi oltre 400.000 coloni israeliani in 128 insediamenti. Quello che è certo è che questi territori, illegali in base al diritto internazionale e il cui status giuridico è regolato dalle Convenzioni e dal diritto internazionali diventerebbero parte integrante di Israele e soggetti alle sue leggi. |
Dagli Usa semaforo verde o giallo? |
Il piano, uno dei cavalli di battaglia di Netanyahu, in linea con il ‘Piano di pace del Secolo’ presentato a fine gennaio da Donald Trump, contemplerebbe nel medio periodo – un’annessione unilaterale della Valle del Giordano da parte di Israele. Se l’Unione Europea ha già messo le mani avanti, indicando che un’azione simile “non è in linea con il diritto internazionale”, e che ci sarebbero delle “conseguenze sul piano diplomatico”, Egitto e Giordania hanno formalmente protestato contro un’azione che, di fatto, sancirebbe la fine della soluzione dei due Stati. In un’intervista a Der Spiegel, re Abdullah II di Giordania ha avvertito che se Israele procederà con il suo piano, entrerà in un conflitto politico e diplomatico con il regno e causerà “un terremoto politico” che potrebbe causare una nuova esplosione di violenza in tutta la regione. Ma inaspettatamente, un ritardo nei progetti di annessione di Tel Aviv potrebbe arrivare proprio da Washington: pochi giorni fa il segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recato in visita in Israele e al termine dei colloqui con i vertici istituzionali ha usato parole caute per riferirsi alla questione. La cosa non è passata inosservata, e il New York Times ipotizza che il semaforo verde dell’amministrazione Trump potrebbe essere diventato giallo. Sulla questione pesano le incognite della scadenza elettorale di novembre negli Stati Uniti e il sostegno del presidente ad un’annessione de facto, a cui lo sfidante Joe Biden si è detto contrario, potrebbe non essere scontata. Già una volta, Washington aveva messo il freno a Netanyahu, quando a febbraio voleva procedere all’annessione della Valle del Giordano. Succederà di nuovo? |
IL COMMENTO di Giuseppe Dentice, ISPI Associate Research Fellow “Il nuovo governo israeliano nasce tra poche luci e diverse ombre. La principale certezza è data dalla formazione di un esecutivo di emergenza nei primi sei mesi (ufficialmente mirati a combattere la questione Covid-19) e nei successivi 30 atti a portare stabilità ad un paese che per oltre 500 giorni non ha avuto un governo. Quindi, comunque vada, Israele avrà un governo. Tuttavia questo capitolo apre una sequela lunghissima di incognite legate alle iniziative dei singoli leader e alla loro capacità di agire effettivamente per il bene del paese. In sostanza sono in tanti, anche all’interno del Likud, a pensare che un esecutivo come questo, nato più da un compromesso che non da volontà politiche condivise, possa presto cadere dietro alla scelta di Netanyahu – che di fatto gestisce tutto l’iter, uscendo più rafforzato che mai rispetto a Gantz – di disattendere gli accordi e rimanere al potere anche oltre il 2021. Solo i dossier legati ai problemi processuali del premier uscente e alla possibile annessione della Cisgiordania tout-court (le colonie ebraiche e, soprattutto, l’area riguardante la Valle del Giordano, la quale potrebbe essere annessa non prima del voto americano di novembre) potrebbero effettivamente produrre un quadro completamente stravolto che, almeno ad oggi, non si intravede, facendo piuttosto presagire una sensazione di saldezza di Netanyahu come di rado avuta nel recente passato”. |