Evento 11 febbraio 2021: Israele torna al voto. Tutti gli scenari
L’evento si è svolto via Zoom e ha visto la partecipazione di circa 40 persone collegate da tutta Italia e da Israele.
La serata di approfondimento della politica israeliana era moderata da Gabriele Eschenazi che nella sua introduzione ha dedicato un affettuoso ricordo dei coniugi Rina e Nedo Fiano, scomparsi da poche settimane, che hanno dato tanto all’ebraismo italiano con la loro testimonianza.
Ha quindi introdotto i due relatori: Aldo Baquis, giornalista, e Roberto Della Rocca, esponente del partito Meretz, entrambi collegati da Israele, ed ha posto loro il tema della serata: quali scenari, quali protagonisti, cosa succede a Sinistra in Israele in vista delle prossime elezioni del 23 marzo prossimo.
Aldo Baquis, nel riportare l’atmosfera politica che si respira in Israele in vista delle elezioni, ha sottolineato come il corona virus resti il maggior assillo degli israeliani, nonostante la grande campagna di vaccinazione. Destano preoccupazione le notizie tendenziose sugli effetti dei vaccini diffuse sulle reti sociali che le Autorità sanitarie cercano di contrastare. La partita è ancora in bilico malgrado 3,5 milioni di persone già vaccinate con la prima dose e 2,2 milioni con la seconda dose. Se Netanyahu sperava di utilizzare la carta della vaccinazione di massa e l’uscita dalla crisi primi al mondo come argomenti elettorali, sembra un obiettivo non ancora raggiunto a causa del livello di nuovi contagi ancora elevato, anche per effetto delle nuove varianti, e la situazione degli ospedali pieni di pazienti anche gravi. Il governo è impegnato in una battaglia severa ed in particolare il Ministero della Sanità ha chiesto che l’uscita dal lockdown e la riapertura delle scuole siano molto prudenti e graduali.
In questo contesto di apprensione e di vigilanza nei confronti degli sviluppi della pandemia si innesta un’altra questione in qualche modo legata alle elezioni ed è il comportamento della minoranza araba e degli ebrei ortodossi. In entrambe queste comunità, che hanno dimensioni abbastanza rilevanti, il tasso di vaccinazione non è elevato, si notano infrazioni ed un senso di sospetto verso le autorità. Di conseguenza ci sono tassi di contagio molto elevati in entrambe le comunità e si rilevano comportamenti di indisciplina. Questo è un elemento importante per chi andrà a votare, che ha notato nelle ultime settimane come il governo sia stato latitante nelle zone ortodosse non applicando le stesse misure restrittive che gli israeliani laici hanno dovuto osservare, come le scuole chiuse, mentre le scuole religiose e le sinagoghe restavano aperte. I partiti ortodossi sono alleati importanti di Netanyahu e quindi si è creato un clima antipatico verso la minoranza ortodossa che si sente al di fuori della solidarietà nazionale.
Un altro argomento è il futuro delle relazioni con gli Stati Uniti. Crea qualche apprensione il fatto che Biden non abbia ancora parlato con Netanyahu. L’ex ministro del Likud Gilad Erdan, senza alcuna esperienza diplomatica, è stato nominato nuovo ambasciatore sia a Washington sia all’Onu, fatto inusuale per la diplomazia. C’è il timore che Biden sia più morbido nei confronti dell’Iran, che si teme possa entro due anni disporre della bomba atomica, e Netanyahu spinge su Biden per mantenere le sanzioni ed evitare che recuperi gli accordi di Obama. I programmi nucleari iraniani restano fonte di grande preoccupazione e le Forze Armate hanno avuto ordine di preparare piani di contingenza. E’ possibile che il Capo del Mossad Yossi Cohen venga inviato a Washington a breve per illustrare la situazione alla nuova amministrazione USA.
Inoltre ci sono tensioni al confine con il Libano perché si sta svolgendo una grande manovra militare israeliana.
La situazione sociale resta tesa con migliaia di disoccupati a causa della crisi economica dovuta alla pandemia ma il governo uscente non ha varato la legge finanziaria innescando la rottura dell’alleanza di governo con il partito Bianco Blu di Ganz. Il Likud nega ma è molto atipico che un ministro delle finanze non faccia passare la legge finanziaria. Come conseguenza molti validi funzionari hanno lasciato il ministero.
Parlando delle novità nelle liste dei partiti, sarebbe stato lecito pensare che dall’esplosione di energia generata dalle continue manifestazioni in tutto il paese dei dimostranti di sinistra per richiedere le dimissioni di Netanyahu sarebbe scaturito un forte sbocco per le elezioni di marzo ma così non è stato. Il tentativo di dar vita ad una forza unita di quattro liste (Labour, Meretz, con la nuova Lista di Ofer Shelah (ex Yesh Atid) annunciata a fine dicembre, e quella del sindaco di Tel Aviv Ron Huldai) non è maturato, con la conseguente rinuncia sia di Shelah che di Huldai.
Restano quindi in lizza il Labour e Meretz, oltre alla Lista Araba considerata parte della sinistra.
Il partito laburista emerge da una fase molto difficile perché alle scorse elezioni il leader Amir Perez aveva assicurato che non sarebbe entrato in un governo guidato da Netanyahu. Invece ha poi deciso di entrare con un ruolo marginale insieme ad un altro deputato diventato ministro. Questo pesante voltafaccia ha fatto perdere prestigio al partito laburista e le nuove primarie di gennaio sono state vinte da Merav Michaeli, un’opinionista molto presente nei media, TV, internet, social , che rappresenta una piattaforma progressista e femminista. In realtà la sua linea politica non è molto dissimile da quella del Meretz e un recente sondaggio dà il Labour in ascesa a 7 seggi, però a scapito del Meretz , che rischierebbe di restare fuori dalla Knesset.
A destra c’è un’inflazione di liste di ultradestra, con la novità di Nuovo Sionismo Religioso (Hazionut Hadatit) nata su pressione di Netanyahu e guidata dal leader dei coloni Bezalel Shmotrich e da Itamar Ben Gvir, esponente della scuola di pensiero del rabbino Kahane.
Il Kach del rabbino Kahane – che nel 1990 fu ucciso a New York in un attentato terroristico – era un movimento eversivo, dai toni esasperati e razzisti. Nel 1994, in seguito alla strage alla Tomba dei Patriarchi di Hebron compiuto da uno suo affiliato, Baruch Goldtsein, il Kach fu disciolto in quanto organizzazione terroristica.
Nel 1995 Ben Gvir – allora un militante molto giovane legato ad ambienti ex-Kach e accesamente ostile agli accordi di Oslo – partecipò a manifestazioni aggressive di protesta contro il governo Rabin, arrivando a minacciare il ministro della difesa Benyamin Ben Eliezer. In seguito, da avvocato, Ben Gvir ha difeso numerosi ultrà ebrei protagonisti in Cisgiordania di attacchi a danno dei palestinesi. Da allora sostiene di aver mantenuto un rispetto fondamentale verso la ideologia del rabbino Kahane e anche verso lo stesso Goldstein, ma di aver elaborato una propria ideologia in forma più pragmatica.
Ha poi completato l’analisi della situazione politica Roberto Della Rocca che ritiene che ci sia massima incertezza sull’esito delle elezioni ma è pessimista perché Netanyahu farà sicuramente di tutto per restare al potere per arrivare al processo come Primo Ministro, e cercherà di convincere ad entrare in coalizione Bennet, leader del partito nazionalista Yemina a destra del Likud che i sondaggi danno a 11-12 seggi. In realtà il confronto politico è una specie di referendum tra i partiti pro o contro Netanyahu, non c’è più destra o sinistra. La novità è il partito Tikvà Hadashà (Nuova Speranza) creato due mesi fa per raccogliere i voti di chi è scontento del Likud, trasformato da Netanyahu in un suo partito personale, da Gideon Saar, ex ministro dell’Educazione ed avversario interno di Netanyahu.
Questa lista è stimata in 13 seggi, contro i 28 del Likud e i 18 di Yesh Atid, la lista di Yair Lapid, dato secondo anche nei sondaggi con il 28% come più adatto a fare il Primo Ministro, dietro a Netanyahu al 38% e davanti a Saar sceso all’11%.
La soglia per accedere alla Knesset è 3,25% dei voti validi e garantisce 4 seggi. Se Meretz non dovesse passare, per effetto del recupero dei Laburisti, sarebbe la prima volta dalla sua fondazione quasi trent’anni fa.
Anche la Lista Unica Araba, tradizionalmente considerata parte del centro sinistra perché contro i governi di destra ma in realtà costituita da quattro partiti con molte differenze, si è spaccata con l’uscita del partito islamico del sud, di ultradestra nazionalista e contro la modernità. Si prevede ora che questa lista unica passi da 15 a 9 seggi mentre Netanyahu corteggia gli arabi religiosi del partito Raam.
Un governo anti Netanyahu potrebbe comprendere anche Meretz su punti specifici concordati ma è difficile pensare che Meretz possa stare in una coalizione con Liberman, che rappresenta con Israel Beitenu la destra laica degli ex-sovietici, e Saar, che si colloca più a destra di Netanyahu sia per la politica degli insediamenti sia per l’insegnamento della religione nella scuola. Meretz si trova all’opposizione da 22 anni, l’ultimo governo era stato quello di Barak. Con i Laburisti, a cui manca un leader forte e onesto, ridotti a 6-7 seggi, è chiaro che Israele sta andando sempre più a destra, anche per l’effetto demografico dei religiosi e dei sefarditi che hanno una natalità più alta, anche degli arabi.
Ad una domanda sulla strategia di medio periodo di Meretz, identificato come partito della bolla progressista di Tel Aviv, Roberto Della Rocca ha risposto ricordando che Meretz è il partito che ha il record di leggi e proposte di legge per difendere le classi sociali più deboli, come la legge per permettere l’acquisto delle case popolari da parte degli inquilini, ma non riesce a fare presa nelle cittadine di sviluppo e nelle zone al di fuori di Tel Aviv per un linguaggio non adatto.
Meretz si presenta alle elezioni con la conferma due candidati arabi, di cui una donna, per avvicinarsi alla popolazione araba israeliana che, secondo Aldo Baquis, dovrebbe essere maggiormente coinvolta. A parte gli episodi di indisciplina, in questi mesi gli israeliani hanno scoperto che i medici e gli infermieri arabi sono una forza importate per tenere insieme le istituzioni. Ogni servizio in televisione su strutture ospedaliere ha mostrato il volto umano di medici ed infermieri arabi. Sono processi che richiedono tempo ma che servono a rompere gli stereotipi. Lo stesso Netanyahu, che nel 2015 incitava il suo elettorato ad andare a votare perché gli arabi venivano trasportati ai seggi da organizzazioni di sinistra, ora fa campagna elettorale nelle località arabe, anche per spronarli a vaccinarsi, con un atteggiamento sui social molto diverso grazie all’apertura di una pagina Facebook in arabo. E’ importante che la società israeliana assorba al suo interno la popolazione araba per molti versi emancipata e civile. Due esempi dimostrano il cambiamento in atto: la televisione pubblica ha un corrispondente arabo di Gerusalemme, elevato a giornalista di pieno rispetto, che tratta tutti i temi di attualità con assoluta imparzialità. Anche Haaretz sta assumendo diversi cronisti arabi.
Abu Mazen il mese scorso ha proclamato le elezioni della Autorità Nazionale Palestinese, che si erano svolte l’ultima volta nel 2006. Il 22 maggio si voterà per il Parlamento di Ramallah, il 21 luglio le elezioni presidenziali ed a fine agosto il Consiglio Nazionale Palestinese in esilio. Pochi giorni fa al Cairo si sono conclusi sotto l’egida di Al Sisi i colloqui tra le 14 fazioni palestinesi, di cui Hamas e Al Fatah sono le più importanti, con il raggiungimento di un accordo che dovrebbe assicurare il corretto svolgimento della campagna elettorale e delle elezioni. Anche se i problemi di fondo tra le fazioni non sono superati, va notato un cauto ottimismo tra i palestinesi per effetto della elezione di Biden, che potrebbe portare alla riapertura del consolato USA a Gerusalemme Est e della rappresentanza a Washington della ANP.
Roberto Della Rocca ha confermato che il focus che differenzia Meretz dagli altri partiti sta nella difesa delle minoranze immigrati e arabi. Si dimenticano le leggi sociali, la difesa della donna e degli omosessuali. Ma il problema di fondo per la sinistra resta la soluzione del conflitto palestinese, che condiziona la soluzione di tutti gli altri problemi come la situazione economica, culturale, la democrazia, i rapporti internazionali. Per diventare un paese normale Israele deve avere una soluzione concordata con i Palestinesi e accettata dalla comunità internazionale.
La posizione dei Laburisti di Merav Michaeli sul conflitto palestinese è più blanda, a conferma che questo è un tema sempre meno presente nel dibattito politico israeliano.
Horowitz, leader del Meretz, spinge sul problema palestinese ma bisogna saper parlare agli elettori anche su altri temi più vicini a loro. Nei territori occupati di Giudea e Samaria ci sono 500.000 coloni ma la popolazione araba ha la natalità più alta del mondo. Sommando gli arabi cittadini di Israele agli arabi che vivono a Gaza e in Cisgiordania, si arriva a un totale di 6,5 milioni. Poiché in Israele vivono 6,3 milioni di ebrei, è evidente che in una prospettiva di “Grande Israele” il mantenimento di uno stato ebraico sarebbe incompatibile con uno stato democratico. L’unica soluzione sarebbe rientrare nei confini del 1967.
La democrazia è molto debole per effetto degli attacchi da parte di Netanyahu alla magistratura, alla stampa libera, alla polizia, con una situazione molto preoccupante.
Giorgio Gomel ha commentato che da due anni la democrazia in Israele è limitata dal plebiscito personale su Netanyahu, che dovrebbe essere giudicato dal tribunale e non dagli elettori.
Per la sinistra l’unica possibilità sarebbe un’alleanza con la lista araba, per consentire al 20% della popolazione di essere rappresentato. Ma Meretz è un partito sionista, è difficile pensare ad una lista unica con i partiti arabi.
Secondo Daniele Nahum il fronte anti Netanyahu è molto disomogeneo. Negli ultimi vent’anni lo scontro politico è stato tra Destra e Centro Destra, con la Sinistra assente che non riesce a capire la situazione sociale.
L’incontro si è concluso con la promessa di un nuovo incontro dopo il 23 marzo per l’analisi del voto.