La rivoluzione ebraica nel nuovo libro di Emanuele Fiano
Michele Serra – La Repubblica 28 Febbraio 2022
L’identità ebraica, alla luce dalla grande varietà e disparità delle sue espressioni storiche, dal colono israeliano nazionalista all’intellettuale disincantato, dall’inestirpabile legame con le radici culturali e religiose a una rivendicata indifferenza soprattutto nei confronti delle seconde, è davvero molto complicata da definire. Ebrei sono Philip Roth e Woody Allen, ebrei gli haredim ultraortodossi di Gerusalemme, ditemi se esiste un nesso percepibile…
Ciò che risulta evidente anche al profano è che la millenaria diaspora, culminata con il genocidio programmato dal nazismo, non è bastata a disperdere un seme culturale così tenace da sembrare indistruttibile. Un seme irriducibile a qualunque luogo comune o pregiudizio “razziale”, compreso quello “buono” della cosiddetta superiorità ebraica: “gli ebrei sono più intelligenti”. A quest’ultima, diffusa opinione, che rimanda a una differenza indimostrabile (antiscientifica, si direbbe con un termine molto di moda), Emanuele Fiano dedica alcune delle migliori pagine del suo libro Ebreo. Una storia personale dentro una storia senza fine.
Il libro ha il pregio (e il coraggio) di calare nella storia privata dell’autore i tanti contenuti saggistici e bibliografici, come se ragionamenti e sentimenti, teoria ed esperienza fossero, gli uni senza gli altri, insufficienti a capire, e a farsi capire. Così, nel lungo racconto, il giovane Fiano, ancora adolescente, mette a fuoco il disagio della differenza non solamente di fronte allo spregio razzista manifestato da alcuni “sancarlini” (furono una sottospecie dei “sanbabilini”), ma anche quando, durante una visita medica, il dottore, scoprendo che Emanuele è circonciso, elogia, con intenzione benevola, la superiore intelligenza degli ebrei. Ottenendo, al contrario, un effetto di muto fastidio.
Figlio di un deportato ad Auschwitz (unico scampato della sua famiglia), deputato del Pd, architetto, milanese e per anni dirigente della comunità ebraica della sua città, Fiano mette sul tavolo i tanti materiali del suo ebraismo assecondando un’idea di partenza, diciamo un’idea ordinatrice, che fa da filo conduttore all’intero racconto, dalle esperienze giovanili nei kibbutz socialisti alle letture adulte, dal doloroso rapporto con una memoria familiare straziata dalla Shoah al suo lavoro politico, dalla discussione sui testi sacri alla vita quotidiana di un italiano come tanti. L’idea è questa: dall’Illuminismo in poi – diciamo dall’inizio della modernità culturale – l’ebraismo in larga parte si è secolarizzato. E in virtù delle sue stesse radici religiose e culturali ha generato un pensiero al tempo stesso critico dell’esistente e ottimista sul futuro. Comunque teso a “non rimanere nella condizione che ti ha generato”, a cambiare, migliorare, muoversi, mettersi in cammino.
Accadde, nel Settecento, che il messianesimo della tradizione (l’attesa del Messia e della salvezza) “fu collegato all’idea del progresso eterno e del compito infinito dell’umanità di perfezionarsi”. Al concetto di “redenzione”, cioè del ritorno salvifico a un Regno passato, subentra quello di “progresso”, un lungo cammino senza fine verso il futuro, verso condizioni umane più degne, libere dalla schiavitù. L’attesa messianica si trasforma “nel compito di realizzare la giustizia nella storia, un compito che ogni uomo deve assolvere in prima persona”.
Questa lettura dell’ebraismo trova evidenti argomenti a favore nell’impressionante numero di pensatori e leader politici ebrei che, a cominciare da Marx, hanno segnato la storia dei movimenti rivoluzionari e di liberazione. Lo stesso concetto di “liberazione” (ne parla anche Gad Lerner nel suo libro L’infedele, con accenti molto simili a quelli di Fiano) è impresso nell’identità ebraica quasi come un dovere, o un’investitura.
La ricerca di territori dove trovare scampo, la fuga dalle persecuzioni, tutto ciò che Fiano chiama “il giogo del presente”, non respingono verso il passato e verso la nostalgia, spingono verso il futuro e verso il mutamento. È la “futura umanità” del socialismo che si libera dalle proprie catene perché ha deciso, finalmente, di mettersi in viaggio. “Il viaggio – scrive Fiano – è l’immagine che più si addice a raccontare cosa sia l’esperienza ebraica”.
Fiano non pretende dogmaticamente “vera” questa lettura “di sinistra” dell’ebraismo, ma la sposa fortemente, anche come portato della sua esperienza individuale, fino a sostenere che “la matrice del pensiero ebraico è una matrice di progresso, chi non la interpreta così fa un torto alle nostre radici”.
A questa lettura molto politica dell’identità ebraica, Fiano affianca una lettura profondamente laica (mi permetto di definirla così) anche della tradizione religiosa e testuale. “Nell’ebraismo la dottrina non esiste e al suo posto c’è la discussione sui testi, l’accumulo indefinito delle chiose ai libri sacri, la riflessione che ai pensieri di chi è morto aggiunge quelli dei vivi”. Questa concezione non dottrinaria dell’ebraismo è rivendicata spesso, se non soprattutto, da molti ebrei non ortodossi e non credenti, che rivendicano il metodo della confutazione, della discussione, del dubbio come matrice anti-dogmatica della cultura ebraica, e come veicolo formidabile di perfezionamento intellettuale (ahi, qui si rischia di ricadere nel mito della “superiore intelligenza” degli ebrei). Vengono in mente gli spettacoli di Moni Ovadia, il proverbiale umorismo ebraico (niente come lo humour necessita di un cortocircuito critico…), lo stuolo interminabile di talenti ebrei in campo artistico e intellettuale.
E a costo di addentrarsi in un terreno minato va detto che sì, qualcosa di “diverso”, nelle radici dell’ebraismo, deve pure esserci, visti i copiosi frutti nonostante persecuzioni e ghetti. C’è un “modulo pedagogico”, come lo definisce Fiano, che dal libro dell’Esodo trascina e costringe chi lo adotta a non farsi mai bastare quello che è scritto, quello che già c’è. Come scrive David Bidussa a proposito del Talmud, “accanto a questi testi e intorno a questi testi rimane un margine di bianco considerevole. La cultura ebraica e l’ebraismo è esattamente quel margine bianco, ovvero è la possibilità e la plausibilità di aggiungere altri testi. Ovvero di continuare il testo”.
Il libro. Ebreo di Emanuele Fiano è edito da Piemme (pagg. 169, euro 17,50)