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SINISTRA PER ISRAELE, DAL 7 OTTOBRE ALLA PACE, la presentazione a Milano del Manifesto

Claudio Scaccianoce , Gli Stati Generali

22 Marzo 2024

Si è tenuta a Milano nella serata di giovedì 21 marzo la presentazione del manifesto nazionale “Dal 7 ottobre alla pace”, documento programmatico di “Sinistra per Israele”.

L’evento è stato ospitato nei locali milanesi del Circolo Caldara di via De Amicis, ambito protetto da un nutrito schieramento di forze dell’ordine pronte a tutelare i partecipanti da eventuali contestazioni che in qualche modo erano state annunciate nel corso della giornata.

Per prima cosa cerchiamo di capire cosa sia “Sinistra per Israele”.

Leggiamo nel sito internet dell’associazione: “Sinistra per Israele raccoglie il testimone dal gruppo omonimo costituitosi all’indomani della guerra dei sei giorni, si propone due obiettivi: sviluppare la conoscenza delle posizioni della sinistra israeliana e la solidarietà nei confronti del “campo della pace” in Israele, contrastare i pregiudizi antiisraeliani, antisionisti e talora perfino antisemiti nella sinistra italiana”.

Nel novembre 2005 Sinistra per Israele fissa undici principi che ne definiscono il campo d’azione in modo molto netto e chiaro, una sorta di statuto e di road map. (http://www.sinistraperisraele.com/chi-siamo/#)

Primi firmatari Giorgio Napolitano, Giuliano Amato, Piero Fassino, Sandra Bonsanti, Enrico Boselli, Peppino Caldarola, Furio Colombo, Umberto Eco, Emanuele Fiano, Gad Lerner, Adriano Sofri, Walter Veltroni, Gustavo Zagrebelsky, Giorgina Arian Levi, Luciano Belli Paci, Felice Carlo Besostri, David Bidussa, Daniele Bonifati, Ugo Caffaz, Marco Campione, Massimo Chierici, Gabriele Eschenazi, Claudia Fellus, Giuseppe Franchetti, Giorgio Gomel, Paola Jarach Bedarida, Victor Magiar, Francesco Mariotti, Enrico Modigliani, Fabio Nicolucci, Francesca Romani, Bruno Segre.

Rileggere oggi i punti programmatici del 2005 aiuta molto la corretta comprensione del Manifesto nazionale “dal 7 ottobre alla pace” presentato in questo marzo 2024.

In questi momenti, traumatici e divisivi, fare sintesi espone al rischio di non sottolineare adeguatamente qualche passaggio. Quando ogni parola pesa è preferibile proporre i documenti nella loro interezza, limitando il lavoro di sintesi giornalistica alle opinioni e alle dichiarazioni dei singoli partecipanti.

Il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre scorso e le drammatiche conseguenze dell’operazione militare sulla popolazione palestinese hanno determinato una spirale che va immediatamente interrotta attraverso un accordo di cessate il fuoco che consenta la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’inoltro alla popolazione civile di Gaza, in condizioni di sicurezza, degli aiuti umanitari.

È la drammaticità degli eventi a imporre l’urgenza di una risposta razionale, progressista, tesa ad affermare il principio di una pace possibile, indispensabile per tutti i popoli della regione. La risposta che auspichiamo poggia su due ineludibili presupposti.

Il primo riguarda il giudizio sulla strage del 7 ottobre, che non viene dal nulla ma che, al contrario, si inscrive nella strategia di Hamas che, sin dal suo statuto fondativo, rifiuta ogni forma di compromesso e ogni prospettiva di pace, perseguendo la cancellazione dello Stato di Israele e predicando l’uccisione degli ebrei. Hamas tuttavia non rappresenta tutto il popolo palestinese. A maggior ragione la ricerca di una soluzione di pace va perseguita con determinazione.

Per rimettere in moto il percorso di pace — è il secondo presupposto — occorrono leadership credibili. Innanzitutto, è necessario che una rinnovata leadership palestinese dell’ANP — unico interlocutore per la pace oggi internazionalmente riconosciuto — superi le ambiguità che hanno concorso al fallimento degli accordi di Oslo. Così come sono essenziali un atteggiamento cooperativo del mondo arabo, sulla scorta degli Accordi di Abramo, e un impegno attivo dell’intera comunità internazionale, superando troppe inerzie. Allo stesso tempo, è necessaria una nuova leadership israeliana che creda nella convivenza di due Stati per i due Popoli. Le politiche perseguite dal governo Netanyahu, la prosecuzione dell’occupazione della Cisgiordania, l’espansione degli insediamenti di coloni e il pervicace rifiuto della nascita dello Stato palestinese sono incompatibili con soluzioni di pace.

Anche per queste ragioni di stringente attualità, Sinistra per Israele — che fin dalla sua fondazione si è battuta per una soluzione di convivenza e di pace — ribadisce oggi i seguenti principi e obiettivi, rivolgendosi a tutti coloro che in questi mesi terribili condividono la nostra medesima urgenza.

— Riaffermiamo come irrinunciabile il diritto di Israele a esistere, riconosciuto dai suoi vicini, e a vivere in sicurezza nei propri confini. Si tratta di un diritto non scontato, ma anzi minacciato quotidianamente da organizzazioni terroristiche e forze politiche radicali in ogni parte del mondo, manovrate soprattutto dal regime iraniano. Il diritto di Israele a esistere è tutt’uno con il diritto del popolo palestinese a un proprio Stato indipendente a fianco di Israele, come stabilito dalle Nazioni Unite e dagli accordi di Oslo e Washington del 1993. Proprio perché su quella terra vivono due diritti ugualmente legittimi, l’obiettivo di «due popoli due Stati», il mutuo riconoscimento di due ragioni, è ancora e sempre il nostro orizzonte e la soluzione da perseguire.

—  Le radici di Israele affondano in una storia che i progressisti europei devono sapere riconoscere e valorizzare. Il sionismo è stato il legittimo movimento di liberazione nazionale e sociale del popolo ebraico e in esso sono vissuti e tuttora vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica e del progressismo. Vivono, come nella straordinaria esperienza dei kibbutz, il progetto e il sogno di una società più giusta, di donne e uomini liberi ed eguali. Soltanto la conoscenza delle radici di Israele può arginare i pregiudizi anti-sionisti e anti-israeliani che albergano nella società italiana, anche a sinistra e nel campo progressista, e che si manifestano attraverso forme antiche e nuove di delegittimazione, di ostilità, quando non di aperto antisemitismo.

— Come per tutte le democrazie, il giudizio sullo Stato di Israele non deve coincidere con quello sul suo governo in carica. Israele è fin dalla sua nascita una democrazia fondata su valori liberali e progressisti, in una regione fortemente segnata da regimi autocratici. Anche le continue e straordinarie mobilitazioni della società israeliana testimoniano una robusta e radicata cultura democratica e la possibilità concreta di restituire a Israele una politica aperta a un vero processo di pace. Il più drastico giudizio sulle politiche di Netanyahu non può in alcun modo tradursi nella negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, né tantomeno nella colpevolizzazione degli ebrei che vivono in ogni parte del mondo.

Questo è il nostro impegno per la pace, oggi e sempre, per due Stati per i due popoli.

L’evento è stato presieduto da Luciano Belli Paci che ha ringraziato per la partecipazione il pubblico intervenuto, numeroso forse oltre ogni aspettativa, che ha gremito la sala conferenze di via De Amicis, così come gli organizzatori e le forze dell’ordine “presenti qui con noi perché viviamo tempi molto difficili”.

Prima a prendere la parola l’on. Lia Quartapelle (componente della III commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati).

“Parto da una frase che ho sentito ripetere molte volte in queste giornate, dal 7 di ottobre a oggi. Immagino che l’abbiate sentita in tanti anche voi e che forse l’abbiate anche pronunciata. —Non vedo altra alternativa, non vedo come potremmo fare altrimenti—

Questa è una frase che mi è stata detta da diversi amici israeliani e da rappresentanti delle istituzioni, ma che ho sentito pronunciare anche nel dibattito pubblico da parte dei sostenitori della causa palestinese. Anch’io, come penso molti di voi qui questa sera, davanti a questa tragedia della guerra tra Israele e Hamas, che è una parte di una tragedia più ampia, la guerra israelo-palestinese, sono arrivata a chiedermi se è vero che non esiste un’altra alternativa, sono arrivata a chiedermi se vedremo mai la fine di questa storia nel corso della nostra vita. Se siamo qui questa sera, tutti insieme, è perché noi speriamo e vogliamo che ci sia un’alternativa.

“Sinistra per Israele” è un’associazione politica, è un percorso politico, perché l’alternativa al terrorismo di Hamas si fa con la politica. L’alternativa alla guerra infinita di Netanyahu con il suo carico di morte e di distruzione, con la mancata sicurezza e normalità per Israele si deve raggiungere attraverso la politica.

Riconoscere che nel Medio Oriente ci sono due ragioni che devono convivere vuole dire proporre un’alternativa. Per Israele deve esistere un’alternativa perchè non è possibile che continui a vivere un’esistenza perennemente minacciata e messa in discussione dai propri vicini. Altrettanto vale per i palestinesi, anche per loro deve esserci un’alternativa al terrorismo di Hamas.

In questi giorni, in queste settimane, da quando abbiamo lanciato questo appello, in tanti ci hanno chiesto perché “Sinistra per Israele”. Lo diceva prima Luciano Belli Paci, questo nome sembra una provocazione, è stato vissuto da alcuni come una provocazione. C’è una minoranza che ritiene (lo sentiamo ripetere anche dai contestatori che sono in strada) che l’accostamento delle parole sinistra e Israele sia una blasfemia. Noi nasciamo anche per contrastare l’ignoranza che c’è dietro questa idea. Perché Israele è nato dalla sinistra, è nato dalla sinistra russa, dalla sinistra ucraina e dalla sinistra europea.

“Sinistra per Israele” perché noi non vogliamo che in Italia succeda come in Francia, dove gli ebrei sono minacciati e portati a fuggire. Quello che abbiamo visto all’Università di Torino in questi ultimi giorni è un segnale molto profondo e molto preoccupante.

Israele è una storia di valori della sinistra, una storia di resistenza, di condivisione, di socialismo, di emancipazione, di patriottismo. Sinistra e Israele stanno insieme perché chi ha provato a dare sicurezza a Israele è stata la sinistra, è stato Rabin, quello straordinario premier che ha pagato con la vita la sua volontà di pace e di sicurezza per il suo Paese. “Sinistra per Israele” non è solo radici, non è solo tradizione nobile, è anche il presente e speriamo il futuro.

In Israele prima del 7 di ottobre ci sono state 29 settimane di manifestazioni per la democrazia, una cosa che non si era mai  vista prima, qualcosa che ha scaldato davvero il cuore in una fase in cui le democrazie in tutto il mondo vivono una crisi molto profonda. “Sinistra per Israele” infine è perché chi mette in pericolo Israele in questo momento (al di là di Hamas) è Netanyahu, un uomo che ha isolato Israele come mai prima per garantirsi la sopravvivenza politica, pronto a continuare il disastro strategico che purtroppo stiamo vivendo.

Noi continueremo in questo percorso che è un percorso di dialogo tra la sinistra italiana e la sinistra israeliana, è un percorso di dialogo sulla democrazia, è un percorso che speriamo diventi anche un dialogo di pace con gli stessi palestinesi. Speriamo che voi vogliate essere con noi anche nelle prossime tappe perché c’è bisogno di “Sinistra per Israele”.

La serata è proseguita con un saluto di Roberto Cenati, per tredici anni Presidente dell’ANPI milanese (Associazione nazionale partigiani d’Italia) recentemente dimessosi dicendosi in dissenso con alcune parole d’ordine espresse in diverse manifestazioni dell’associazione sul tema del conflitto israelo-palestinese e in particolare modo sull’uso del termine “genocidio”.

“Condivido pienamente il documento illustrato da Lia Quartapelle nella sua introduzione. Il 2 marzo ho rassegnato le dimissioni da Presidente dell’Ambito Provinciale di Milano ANPI e da Presidente del Comitato Permanente Antifascista, che è l’organismo che promuove le celebrazioni del 25 aprile ogni anno oltre a promuovere il Giorno della Memoria. È stata per me una decisione molto sofferta maturata in disaccordo con la linea tracciata dall’ANPI nazionale che ha inserito nelle sue parole d’ordine e nei suoi slogan “impedire il genocidio”.

Genocidio è un termine che deve essere usato con estrema attenzione, con estrema cura, perché io sono convinto che, nonostante di quello che sta succedendo, a Gaza non si sta verificando il genocidio di un popolo…

Io credo che la parola genocidio sia profondamente sbagliata in questa situazione pur grave che c’è nella striscia di Gaza… il termine ha un significato ben preciso, vuol dire “sterminio programmato scientifico di un intero popolo, dalla prima all’ultima persona”, come è stata la Shoah. Non è questo l’obiettivo che ci stanno proponendo le forze israeliane, ma quello di eliminare Hamas, non certo di sterminare un popolo…”

E’ quindi seguito l’intervento del Segretario di “Sinistra per Israele”, Emanuele Fiano che ha proposto un lungo e articolato intervento caratterizzato anche da una attenta ricostruzione storica delle relazioni tra israeliani e palestinesi.

“… La storia che sta dietro i drammatici giorni che vive il Medio Oriente è un susseguirsi di molti, moltissimi, troppi decenni di guerre, di armistizi, di accordi, di tragedie, di stragi, di attentati, di ecatombe… Niente di ciò che è avvenuto prima di noi, prima di questa sera, è slegato da ciò che accade ogni giorno sotto i nostri occhi.

…  Nessuno di noi potrà mai dimenticare le immagini che ha visto, se le avete viste, del massacro sadico e disumano del 7 ottobre nel sud Israele. Nessuno di noi potrà dimenticare le immagini e i filmati delle violenze sessuali, dello strazio dei corpi, delle mutilazioni. Delle case bruciate con dentro le persone, delle grida “all’ebreo, all’ebreo”, dei civili che entrano in territorio israeliano al seguito dei terroristi armati di Hamas e che anch’essi come loro compiono violenza. Nessuno di noi può far finta di non sapere come quegli attimi e quelle violenze hanno acceso nella percezione di Israele e degli ebrei nel mondo una lampadina che rischiarava il ricordo dei tempi terribili del secolo scorso.

…Nessuno di noi può dimenticare le immagini e le sofferenze che si riferiscono oggi alla popolazione civile di Gaza. Pur conoscendo e sapendo della responsabilità di Hamas, dell’uso dei civili come scudo, delle infrastrutture militari di Hamas, delle loro rampe di lancio, dei magazzini delle loro armi, dei rifugi dei loro capi mescolati o costruiti dentro o sotto le infrastrutture civili, sanitarie e religiose, va detto tutto questo, non possiamo essere ciechi di fronte alla violenza tremenda, ai lutti spaventosi, alla sofferenza per fame e privazioni che soffre da molti mesi la popolazione civile di Gaza.

Di fronte a tutto questo, “Sinistra per Israele” lo ha scritto nel manifesto, noi chiediamo un cessate il fuoco che permetta la liberazione degli ostaggi israeliani, questo tassello dimenticato di questi orrori, che possa permettere ogni aiuto possibile, umanitario alla popolazione.

… Quello che oggi appare lontanissimo, e cioè la convivenza nella pace tra due Stati per i due popoli, rimane per noi l’unico obiettivo possibile. Esso necessita di un cambio politico del governo dello Stato di Israele, che ovviamente ha sfidato la volontà democratica dei suoi cittadini, ed anche un cambio di forza, di atteggiamento e di coerenza da parte dell’autorità nazionale palestinese e di un cambio di atteggiamento dei paesi arabi moderati, che pure avevano iniziato un percorso, oltre a un cambio di ruolo delle Nazioni Unite che non hanno in questo momento un atteggiamento equilibrato su questo conflitto.

… Noi continueremo a considerare come primario l’obiettivo di una pace tra i due popoli in due Stati. Rimane a tutt’oggi un obiettivo che pare a ognuno di noi difficilissimo, se non irrinunciabile, ma rimane lo stesso.

E’ stato quindi il momento del collegamento con Israele e con Manuela Dviri, nota giornalista e scrittrice italiana naturalizzata israeliana, che da moltissimi anni risiede in Israele.

In un dialogo a distanza con Lia Quartapelle Manuela ha ripercorso i momenti immediatamente successivi alle stragi del 7 ottobre.

“Il 7 di ottobre è arrivato per Israele e noi in qualche modo siamo ancora fermi a quel 7 ottobre. Forse per la prima volta abbiamo sentito in modo così forte il pericolo esistenziale di Israele, cioè il pericolo che Israele potesse non esistere più perché quello che abbiamo visto quel giorno, e ci abbiamo messo parecchi giorni a vederlo, a capirlo, era un odio che non immaginavamo che esistesse.

Io vivo in Israele ormai da più di 50 anni, le guerre le ho viste come le hanno viste e superate le persone della mia età, ma questa volta è stata una cosa completamente diversa. Abbiamo provato una grande paura e anche una specie di vergogna. Com’è possibile che non ci fosse nessuno che ci potesse salvare, che potesse salvare le persone che erano lì di fronte alla striscia di Gaza? Dov’era l’esercito? …Sono stati dei giorni terribili che nessuno di noi ha ancora dimenticato.

… Credi ancora nella pace?  Diceva il vecchio Simon Peres che il pessimista e l’ottimista moriranno lo stesso giorno, ma l’ottimista avrà vissuto meglio. L’ottimismo è quello a cui dobbiamo credere, dobbiamo crederci anche se sembra veramente difficile”.

Al termine di un saluto dell’on. Ivan Scalfarono di Italia Viva  e del console onorario di Israele in Italia Marco Carrai, le conclusioni sono state esposte dall’on. Piero Fassino.

Questa sigla oggi appare a chi non conosce la storia, a chi non sa, quasi una forma di provocazione. E allora bisogna dire subito una cosa chiara. “Sinistra per Israele” non significa sinistra per Netanyahu. È un punto chiaro per noi, forse non è chiaro invece per chi ci guarda, per coloro che ci guardano e pensano che avere nella nostra sigla la Stella di Davide significa che noi siamo – acriticamente – a sostegno di qualsiasi cosa Israele faccia o dica. Bene, non è così.

…Io penso che noi siamo di fronte a una situazione che ha conosciuto un arretramento drammatico, perché siamo tornati a prima di Madrid. Abbiamo invece il dovere di fare una battaglia perché non si smarrisca l’unica strada possibile. Quello che è successo ha scavato un solco profondo di rancore, di odio, di desiderio di vendetta, di sfiducia che sarà difficile da colmare.

Dovremo farlo, ma bisogna sapere che sarà molto complicato. Però non c’è un’altra strada. L’unica strada possibile è quella di riconoscere che ci sono due ragioni da far convivere e che quindi la coesistenza dei due stati è l’unica strada che può dare quella stabilità e quella pace che fino ad oggi non c’è.

…Io credo che noi dobbiamo dire con grande chiarezza, perché è coerente con tutto quello che abbiamo detto sinora, che se si vuole fare la pace abbiamo bisogno di una nuova leadership israeliana di pace. Ma dire questo ed essere molto severi con Netanyahu non può significare il negare il diritto di Israele di esistere.

… Dobbiamo combattere contro chi ha queste idee, anche per contrastare il paradosso secondo cui adesso il difensore migliore di Israele è la destra, la destra che è erede di quelli che li hanno mandati nelle camere a gas. Per carità, va bene tutto. Se la destra italiana ed europea ha cambiato posizione e oggi riconosce il valore israeliano siamo felici, ma non è che resettiamo la memoria.

… Nel nostro paese noi abbiamo bisogno di mettere in campo un’iniziativa politica, come stiamo facendo, che deve avere un’attenzione culturale, pedagogica, formativa, perché tutto quello che abbiamo detto questa sera contrasti con quel patrimonio purtroppo largamente diffuso, non dico comune, di pregiudizi manichei, stereotipi, di rappresentazioni di comodo che naturalmente vengono legittimate dal dramma che si è consumato a Gaza. Ma è esattamente questo ciò che noi dobbiamo sconfiggere e non accettare e quindi fare in modo che a Gaza ci si fermi. E a partire dal cessate il fuoco si imbocchi in una strada diversa, una strada che può consentire un’evoluzione politica in Israele.

NdR: I passi “virgolettati” riportati in questo articolo sono la fedele trascrizione di dichiarazioni raccolte tramite registrazione vocale. Ovviamente si tratta di stralci di esposizioni molto più estese che sarebbe stato impossibile trascrivere nella loro completezza per motivi di spazio redazionale.

Coloro che avessero il desiderio di ascoltare in versione integrale il convegno di “Sinistra per Israele” possono farlo attivando questo link:  https://www.radioradicale.it/scheda/723918/presentazione-del-manifesto-nazionale-dal-7-ottobre-alla-pace

Saranno condotti alla benemerita pagina di Radio Radicale che ha curato la registrazione integrale della serata.

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Presentato a Roma il Manifesto Nazionale “Dal 7 Ottobre alla Pace” di Sinistra per Israele

Massimiliano Boni da riflessimenorah.com

Si è svolto ieri pomeriggio a Roma, presso il palazzo della Provincia, il lancio pubblico del manifesto di Sinistra per Israele “dal 7 ottobre alla pace”. L’appuntamento, organizzato dalla sezione romana di Sinistra per Israele, ha visto la partecipazione di oltre 120 persone venute ad ascoltare gli interventi di alcuni degli oltre 1200 aderenti al manifesto.

Moderati da Victor Magiar, Flavia Di Castro e Aurelio Mancuso, e dopo una breve introduzione di Massimiliano Boni, il primo intervento è stato di Silvia Berti, storica, che ha evidenziato il grande dolore provato in questi tempi in cui Israele, colpito dal terrorismo di Hamas, subisce anche l’offensiva ideologica di chi sovverte il significato delle parole, utilizzando ad esempio il termine sionista come un’offesa, cancellando così una lunga tradizione che vede il sionismo nato all’interno del pensiero socialista, e che si esprime purtroppo soprattutto nelle università.

Berti, dopo aver ricordato le varie posizioni espresse sul conflitto negli Stati Uniti, ha concluso il suo intervento spiegando che la sua convinta adesione al manifesto è mossa anche dalla necessità di promuovere una nuova leadership politica in Medio Oriente, ma soprattutto dal dovere morale di ciascuno di impegnarsi perché venga impedito un nuovo tentativo di sterminio degli ebrei, dopo quello della Shoah.

Anselmo Calò, imprenditore e già vice presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ha provato a spiegare il sentimento provato oggi dagli israeliani, smarriti dopo il 7 ottobre, anche perché alle loro spalle non è presente la lunga storia di persecuzioni e pogrom come quella conosciuta dagli ebrei europei. È per questo che dopo l’attacco di Hamas gli israeliani vivono ancora una situazione di incertezza e di timore per la stessa sussistenza dello Stato ebraico, oltre che per la loro personale incolumità.

Calò ha ricordato inoltre che sono oltre 150.000 i cittadini israeliani che ancora non possono fare il ritorno nelle loro case e che se tale situazione di incertezza e di timore non verrà eliminata non sarà possibile neppure percorrere la strada per la pace. Strada, ha concluso, sbarrata anche dall’attuale governo Netanyahu, influenzato e guidato dall’ala più estremista, ispirata a un messianismo fanatico che, scontrandosi con quello islamico, impedisce ogni soluzione politica.

Valentina Caracciolo, assessore Pd al secondo municipio di Roma, ha spiegato come abbia aderito fin dall’inizio al manifesto, nel quale si riconosce in pieno, specialmente nell’obiettivo di riavviare un percorso che porti alla formazione di due Stati per due popoli, il che significa che innanzitutto occorre il pieno riconoscimento dello Stato ebraico e del suo diritto a vivere in sicurezza.

Ha poi evidenziato come si stia ormai facendo un uso virale e superficiale di parole come genocidio o un uso dispregiativo della parola sionista. Anche durante la celebrazione dello scorso 8 marzo è stato evidente il tentativo di molte organizzazioni femministe di passare sotto silenzio la violenza ripetuta e terribile subita dalle donne israeliane. Sinistra per Israele deve porsi dunque anche l’obiettivo di portare le istanze del manifesto all’interno del Partito democratico, dove purtroppo a volte si rischia che passino letture superficiali e sbagliate; nonché sostenere, in Israele, tutti i cittadini che da oltre un anno si battono per il cambio di governo.

Valeria Fedeli, già vice presidente Pd del Senato, ha evidenziato che il manifesto di Sinistra per Israele ha soprattutto tre pregi: la chiarezza con cui sottolinea l’obiettivo di due popoli per due Stati; l’efficace ricostruzione storica del percorso intrapreso, che già prima degli accordi di Oslo ha sempre sostenuto le ragioni dei due popoli; e infine la sottolineatura delle radici comuni fra la sinistra e il sionismo.

Ha poi evidenziato con preoccupazione la violenza registrata negli ultimi giorni, con gli attacchi sulla stampa a Liliana Segre, e quelli fisici che hanno impedito a Maurizio Molinari e David Parenzo di parlare in due atenei italiani.

Si pone dunque la necessità, innanzitutto per la nostra Repubblica, di intervenire nei programmi scolastici, ha concluso Fedeli, facendo in modo, ad esempio, che nelle scuole si arrivi a studiare anche il ’900, per comprendere la storia degli ebrei e del nostro passato.

Claudia Mancina, filosofa, ha evidenziato il pericolo che il radicalismo ideologico si diffonda negli atenei italiani, così come sta prendendo piede negli Stati Uniti. A questa forma di antisemitismo sembra saldarsi anche una matrice antioccidentale, che fa di Israele l’avamposto dell’occidente in Medio Oriente.

Quanto all’obiettivo politico del manifesto, la nascita di due Stati per due popoli, ha rimarcato come seppure si riuscirà a sradicare il terrorismo di Hamas da Gaza, occorrerà poi riuscire a sradicare anche l’ideologia antioccidentale dai giovani palestinesi.

Gennaro Migliore, parlamentare di Italia Viva, ha sottolineato come Sinistra per Israele debba sapersi porre senza timore l’obiettivo di fare del manifesto una piattaforma di azione politica. Ha ricordato come nella sua storia politica è stato sempre presente, fin dall’inizio, l’importanza della tutela di Israele.

Quanto alla situazione attuale, ha evidenziato i collegamenti di Hamas con l’Iran, gli Houti e altre organizzazioni terroristiche e che la sua gestione del territorio a Gaza è simile a quella delle organizzazioni mafiose. Si è detto pertanto favorevole all’inasprimento delle sanzioni contro l’Iran e al tempo stesso ha affermato quanto sia importante, anche a sinistra, riconoscere l’importanza degli accordi di Abramo. Ha infine espresso un giudizio severo sul governo Netanyahu e, guardando alla politica italiana, ha sollevato dubbi circa la possibilità che si possa creare un’alleanza a sinistra fra partiti che non condividono le linee generali di politica estera.

Andrea Romano, docente universitario e già parlamentare Pd, ha evidenziato come il manifesto esprima in maniera razionale un progetto politico progressista e che la sua utilità stia anche nel mettere in guardia dal rischio presente di antisemitismo a sinistra, un rischio che si riconosce ad esempio in posizioni antioccidentali. Al contrario, la realtà di Israele dimostra che nel paese esiste una componente robusta contraria a Netanyahu e che essa va sostenuta contro il governo attuale animato da ideologie razziste. Ha ricordato poi come L’Europa di oggi non debba dimenticare di essere stata costruita sulle macerie della seconda guerra mondiale e in particolare della Shoah.

Sostenere Israele oggi, ha spiegato, significa anche evidenziare come l’identità ebraica non vada legata, come spesso tendono a pensare i detrattori di Israele, a un’immagine esclusivamente vittimistica. Ha concluso spiegando che il manifesto di Sinistra per Israele diventi uno strumento di azione politica all’interno della sinistra italiana.

Ha chiuso i lavori Piero Fassino, che ha evidenziato come la riunione rappresenti essa stessa un atto politico, capace di imporsi a quelle frange estremiste che fino all’ultimo hanno tentato di impedirla. A tal proposito ha condannato fermamente la decisione del Senato accademico dell’università statale di Torino di ritirarsi dal bando di concorso indetto dal ministro dal ministero degli esteri e della cooperazione con le università israeliane. Ha poi ripercorso la nascita e gli obiettivi di Sinistra per Israele, sorta già dopo la Guerra dei sei giorni, per dare uno strumento a chi riteneva necessario difendere Israele nella sinistra italiana. Ricordato che il sionismo di Theodor Herzl nasce all’interno dei movimenti socialisti di fine 800, e che il rapporto fra gli ebrei e la sinistra è lungo e non privo di contraddizioni (come dimostrano le persecuzioni staliniste degli anni 50), ha sottolineato come Israele oggi sia una realtà democratica costruita sul modello occidentale e che Sinistra per Israele da sempre si batte perché si riconosca a due popoli di avere ciascuno il diritto ad uno Stato e a vivere in sicurezza, il che significa innanzitutto osteggiare qualsiasi forma di criminalizzazione dello Stato ebraico. Ha poi sottolineato come la guerra a Gaza, che certo può essere criticata in alcuni suoi aspetti e nelle sue modalità di conduzione, non può tuttavia essere in alcun modo paragonata all’attacco di Hamas del 7 ottobre, perché ciò equivarrebbe a mettere sullo stesso piano il bombardamento di Dresda con lo sterminio realizzata da Auschwitz o, detto altrimenti, equivarrebbe a mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito. Ciò naturalmente non deve far dimenticare le enormi responsabilità di Netanyahu, che del resto nascono da lontano, cioè fin dall’assassinio di Rabin, e che passano per la colonizzazione della Cisgiordania o la pretesa di fare di Gerusalemme l’unica capitale dello Stato ebraico. In altre parole, ha spiegato Fassino, Netanyahu si oppone a qualsiasi prospettiva di pace, motivo per cui Sinistra per Israele deve sostenere un ricambio di leadership non solo in campo palestinese ma anche in Israele. Venendo alla situazione attuale, Fassino ha ritenuto che il cessate il fuoco debba essere condizionato alla liberazione degli ostaggi, la restituzione dei corpi, e a portare aiuto al popolo palestinese. Ha messo in guardia in inoltre dal rischio che le varie organizzazioni estremiste operanti in Medio Oriente, come il Fronte per la liberazione della Palestina, gli Houti e l’Iran si saldino in un movimento ostile non solo Israele ma all’intero Occidente. Ha evidenziato che nonostante l’aumento delle difficoltà a seguito del 7 ottobre, l’unica soluzione resta quella dei due Stati, soluzione che però oggi è più difficile, in quanto la pace può nascere solo da dove c’è fiducia, la fiducia che oggi manca. Infine, per quel che riguarda l’Europa, ha sottolineato come oggi Israele non guardi al continente europeo con fiducia, perché troppe volte gli Stati europei hanno dimostrato di non essere imparziali. Ritiene invece che sia necessaria per l’Europa non essere equidistante da Israele e dai palestinesi, ma praticare “un’equivicinanza”. In conclusione, ha auspicato che con la presentazione odierna del manifesto si avvii un’azione politica, culturale, pedagogica e formativa all’interno della sinistra e che Sinistra per Israele possa operare nel campo della sinistra con successo.

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