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Enzo Sereni

Enzo Sereni (Roma17 aprile1905 – Campo di concentramento di Dachau18 novembre1944) è stato un attivistapartigianoscrittore, sionista italiano, cofondatore del kibbutzGivat Brenner, letterato, sostenitore della coesistenza tra ebrei e arabi. Combattente della Resistenza, fu paracadutato nell’Italia occupata dai Nazisti durante la seconda guerra mondiale; catturato dai tedeschi, fu successivamente ucciso nel campo di concentramento di Dachau.

Biografia : Nato a Roma, i genitori Samuele Sereni e Alfonsa Pontecorvo erano esponenti dell’alta borghesia ebraica romana. Suo padre era il medico del Re d’Italia, suo zio Angelo presidente della comunità ebraica romana. Enzo era il secondo di tre fratelli: il primo, Enrico, uno scienziato legato ai movimenti antifascisti di “Giustizia e Libertà” e morto suicida in giovane età, il terzo Emilio, senatore della Repubblica italiana, partigiano e militante comunista. Le vicende della famiglia Sereni sono rievocate nel romanzo Il gioco dei regni di Clara Sereni (Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1993), terzogenita di Emilio.

Sereni era diventato sionista da ragazzo, e fu uno dei primi sionisti italiani.[1] Sereni sposò Ada Ascarelli, anch’essa di famiglia ebraica benestante, a Roma, dove nacque la primogenita Hana. Dopo avere conseguito la laurea all’Università di Roma, fece aliyah verso il Mandato britannico della Palestina nel 1927. Lavorò nell’aranceto a Rehovot e prestò aiuto a costruire il kibbutz di Givat Brenner dove nacquero la secondogenita Hagar e il terzo figlio Daniel. Già un entusiasta socialista, Sereni fu anche attivo nel sindacato dell’Histadrut. Era un pacifista che sostenne la co-esistenza con gli arabi e l’integrazione delle società ebraiche e arabe.

Sereni fu mandato in Europa negli anni dal 1931 al 1934 per aiutare a portare la gente in Palestina attraverso la aliyah e fu arrestato per breve tempo dalla Gestapo. Aiutò a organizzare il movimento Hechalutz nella Germania nazista ed anche a contrabbandare persone e denaro fuori dalla Germania. Si recò anche negli Stati Uniti d’America per aiutare ad organizzare il locale movimento sionista. Durante la seconda guerra mondiale, fece parte delle British Army e avviò propaganda anti-fascista in Egitto. Fu quindi incaricato dagli inglesi in Iraq, ove passò parte del suo tempo ad organizzare aliyah clandestine. Ebbe problemi con i superiori della British Army per i suoi piani sionistici e fu imprigionato per poco tempo per la contraffazione di passaporti.

Successivamente aiutò ad organizzare le unità paracadutistiche della britannica Special Operations Executive (SOE), che inviava agenti nell’Europa occupata. In particolare, Sereni ispirò – a Bari, dal gennaio 1944 – la creazione di un’unità dell’Agenzia ebraica che aveva lo scopo di aiutare ed eventualmente salvare gli ebrei che si trovavano nei territori occupati dai nazisti. Di circa 250 reclute volontarie circa 110 furono selezionate per addestrarsi e 33 furono paracadutate in Europa, compreso Sereni, malgrado la sua età relativamente avanzata. Il 15 maggio del 1944 fu paracadutato nell’Italia settentrionale sotto il falso nome di Samuel Barda ma fu catturato immediatamente a Maggiano di Lucca. Condotto a Verona, fu torturato e rinchiuso nelle celle ricavate nei sotterranei del palazzo dell’INA, diventato sede del SD (il servizio segreto delle SS). Fu trasferito al campo di transito di Bolzano il 25 agosto 1944 e detenuto nel blocco E, recintato col filo spinato perché riservato ai prigionieri politici considerati più pericolosi, come riportato da Vittore Bocchetta in 1940-1945 Quinquennio Infame, Verona, Edizioni Gielle, 1991. Fu quindi deportato al Dachau il 5 ottobre 1944 dove fu sottoposto a uno speciale regime di rigore. Un sopravvissuto facente parte dello stesso trasporto, Raffaele Capuozzo, in una testimonianza filmata rilasciata all’archivio storico della città di Bolzano, ha raccontato la tempra di Sereni a Dachau: “Il capo-lager venne con un elenco e chiamò fuori Samuel Barda, capitano paracadutista inglese. Parlò in tedesco, non so cosa disse. Cominciò a sferrargli pugni sulla faccia e questo capitano, che sarà stato alto un metro e 55, non si mosse, rimase sull’attenti imperterrito come se gli facessero delle carezze”. Immatricolato a Dachau con il nome Shmuel Barda e con il numero 113160, Sereni fu condotto il 17 novembre 1944 in una cella speciale di punizione per essere interrogato e, secondo la documentazione, fucilato il 18 novembre 1944.

Altri martiri famosi che furono paracadutati in Europa con l’unità dell’Agenzia ebraica furono Hannah Szenes e Haviva Reik. Il kibbutz Netzer Sereni porta il suo nome.

Un capitolo del saggio sulla storia dei sionisti italiani Una terra per rinascere. Gli ebrei italiani e l’emigrazione in Palestina prima della Guerra (1920-1940), di Arturo Marzano, Milano, Marietti, 2003, è dedicato a Sereni.

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Ber Borochov 1881-1917

Dov Ber Borochov (Zolotonoša3 luglio1881 – Kiev17 dicembre1917) è stato un linguista ucraino, fu un sionista marxista e uno dei fondatori del movimento sionista socialista, ma anche pioniere nello studio dello yiddish come lingua.

Dov Ber Borochov

Dov Ber Borochov (Zolotonoša3 luglio 1881 – Kiev17 dicembre 1917) è stato un linguista ucraino, fu un sionista marxista e uno dei fondatori del movimento sionista socialista, ma anche pioniere nello studio dello yiddish come lingua1

Biografia

Era nato nella città di Zolotonoša (Ucraina) sotto l’Impero Russo. Da adulto aveva aderito al Partito Operaio Socialdemocratico Russo ma era stato espulso per il suo credo sionista. Conseguentemente collaborò alla formazione del partito Poale Zion e dedicò la sua vita a promuovere il partito in Russia, in Europa e in America. Quando i socialdemocratici russi giunsero al potere, Borochov tornò in Russia nel marzo del 1917 per guidare il Poale Zion e organizzare le brigate ebraiche per Armata Rossa.[1] Si ammalò e morì di polmonite il 17 dicembre 1917.

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Setirot – Il banco vuoto

Pubblicato in Idee il ‍‍17/01/2019 – 11 שבט 5779

jesurum

“Il banco vuoto. Scuola e leggi razziali. Venezia 1938-45” è un libro che mi riguarda. Lo ha scritto, con vent’anni di studi e ricerche alle spalle, Maria Teresa Sega per Cierre edizioni. Mi riguarda innanzitutto poiché sento visceralmente giusto – dopo un 2018, ottantesimo delle leggi razziste, e il fiume di articoli, mostre, ragionamenti su quell’obbrobrio – il monito “prima le persone”. E “Il banco vuoto” ciò racconta, documenta: le persone, le piccole/grandi storie, in una città in fondo piccola, nelle calli, nei sotopòrteghi, nei campi, in un lasso di tempo definito e “visibile”. Che poi tra quelle persone, bambine e bambini, ragazzini e ragazzine, adulti, ci sia l’intera mia famiglia, parenti, amici dei nonni e dei miei genitori, nomi sentiti pronunciare di continuo durante l’infanzia – sommersi e salvati – rende le pagine strazianti e dolci insieme.
Si entra così nel vivo, come scrive in prefazione Gadi Luzzatto Voghera, della storia orale assunta come passaggio necessario, prima che anche l’ultimo dei testimoni ci lasci la responsabilità di raccontare quelle vicende compiendo altre scelte narrative e documentarie. Ed ecco davanti ai nostri occhi i bambini ebrei esclusi dallo Stato colpiti anche dalla reazione muta, silente dei compagni, se non spesso dalla aperta ostilità fatta da atti di bullismo, piaga difficilissima da estirpare nella gioventù di ogni tempo. Il bullismo, dinamica funzionale al potere – vi prego, guardate fuori dalle vostre finestre. Non a caso Luzzatto Voghera definisce “Il banco vuoto” un testo storico militante «nel senso che concepisce la ricerca – giustamente – come strumento necessario per comprendere la nostra realtà quotidiana e aiutare soprattutto le giovani generazioni a interpretarla».
Per un bizzarro gioco del caso, mentre leggo “Il banco vuoto”, la rivista online JoiMag ricorda un episodio contenuto nell’autobiografia di Giuliana Coen del 1981, “R come Roberta”. «La mattina della maturità entriamo in classe e assisto alla prima sorpresa. I banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono tre in un canto, un po’ scostati. Faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: “No, laggiù per favore”, e indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di ciò che sta accadendo perché c’è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c’è chi cambia idea all’ultimo momento, chi baratta il posto. Alla fine siamo tutti seduti. C’è un attimo di silenzio, finalmente. Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È figlio di una principessa eritrea e d’un generale italiano. “Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte”. Il professore ha un momento d’imbarazzo. “Sono privatisti”. Il mulatto sorride. “Certo: privatisti. Perché sono ebrei, non è vero?”. Questa volta l’imbarazzo del professore è più evidente. Il giovane eritreo non gli dà nemmeno il tempo di dire una parola. “Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito, non è vero? Perciò, con il suo permesso…”. Prende l’ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato. Allora accade l’imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, alcuni mi fanno alzare, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri. Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore…». Il suo nome era Ludovico Sprocani. E non è una commovente scena di “L’attimo fuggente”. Gesti rari, allora come oggi.
Grazie Maria Teresa Sega, ci hai reso gli sguardi e i corpi di quei nostri ragazzini e ragazze che la maggior parte degli italiani bollò come nemici degni di sputi e insulti. Degni – peggio – di indifferenza. Tutto ciò mi riguarda.

Stefano Jesurum, giornalista

(17 gennaio 2019)

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La fine di Israele

Furio Colombo  Il saggiatore, 2007 – 127 pagine

La fine di Israele è cominciata. Si sono incrinati i pilastri che finora hanno sostenuto questo paese persino al di là delle persuasioni, intenzioni, dissensi e giudizi negativi. Quei pilastri erano l’opinione pubblica dell’Occidente, la diversità del mondo islamico, il sostegno americano, l’imminenza – o almeno la realistica speranza – di una qualche forma di pace o di convivenza con la Palestina. Opinione pubblica dell’Occidente non vuol dire sostegno e amicizia, ma constatazione e accettazione. Si fondavano principalmente sulla memoria. Il paese degli ebrei, nato legalmente con solenne proclama delle Nazioni Unite e impegno particolarmente intenso dell’Unione Sovietica (e non degli Stati Uniti, come si era sempre detto, creduto e fatto credere), non poteva essere negato, specialmente dall’Europa, in gran parte protagonista o complice della Shoah. È utile ricordare che al momento della nascita di Israele la Palestina era terra inglese, la Santa Sede negava risolutamente che in quella terra (che non era uno stato, ma un protettorato) i luoghi santi “potessero cadere in mano agli ebrei”, gli arrivi degli scampati alla persecuzione (fino alla fine della guerra e dunque durante il dominio del nazismo) venivano respinti in mare, e dopo l’apertura dei campi continuavano a essere duramente osteggiati dai militari inglesi che presidiavano quel territorio”. (Furio Colombo)

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Sinistra e Israele

La frontiera morale dell’Occidente

Di Fabio Nicolucci , libro pubblicato nel novembre 2013

Israele, la sinistra e l’occidente

Il difficile rapporto tra la sinistra e Israele

Il libro esamina dal punto di vista storico e cronologico l’intenso rapporto tra sionismo e sinistra europea

Fabio Nicolucci dimostra come i due movimenti abbiano avuto una forte radice comune, malgrado le loro strade si siano divise a partire dal 1967.  In particolare l’autore pone l’accento sul rapporto tra Israele e l’occidentalismo, approfondendo il tema dello “scontro tra civiltà’” soprattutto a partire dall’11 settembre 2001, quando il nemico diventa l’Islam.

Attraverso un excursus delle relazioni tra Israele e la destra neoconservatrice – diventata sempre più potente proprio dopo i fatti dell’11 settembre – l’autore si concentra poi sul complesso legame tra sinistra e occidentalismo e tra sinistra e Israele.

In conclusione il testo propone una nuova e alternativa lettura della globalizzazione, delle relazioni internazionali nel delicato panorama dei rapporti tra oriente e occidente, per offrire una diversa consapevolezza sulle vere sfide nel medioriente e nel mondo.

Fabio Nicolucci  Esperto di relazioni internazionali, politica e sicurezza del medio oriente, è editorialista de Il Messaggero e Il Mattino. Autore di diverse monografie tra cui: I giochi di potere e le nuove alleanze nel Mediterraneo (2010).

SINOSSI

Il libro inizia con una analisi storica e cronologica dei fitti rapporti tra sionismo e sinistra europea dal punto di vista della cultura politica, dai prodromi del sionismo nel XVIII secolo sino ai tempi attuali. Tale analisi dimostra come i due movimenti abbiano avuto una forte radice comune e dunque anche una sorte comune, malgrado le loro strade si siano divaricate a partire dal 1967.

Il secondo capitolo è relativo al rapporto tra l’occidentalismo e la cultura politica occidentale. Analizzando il rapporto dialettico tra l’occidentalismo e l’identità occidentale, poi il medioriente come frontiera per la cultura politica occidentale e poi il peculiare apporto di Israele come“Occidente dell’Occidente”, il saggio illustra come la destra neoconservatrice e liberista ha cominciato il suo percorso come cultura politica egemone nell’Amministrazione Bush, per poi guidare l’Amministrazione Usa dopo l’11 settembre, proprio a partire dall’affermazione della destra radicale israeliana guidata da Benjamin Netanyahu, che ne costituisce uno degli organizzatori.

Il terzo capitolo indaga invece il difficile rapporto tra sinistra e occidentalismo, per prima studiarne le radici e poi elaborare una griglia metodologica capace di rifondare questo rapporto attraverso unavisione non geopolitica del medioriente basata su una lettura dinamica dei processi politici e culturali mediorientali attraverso le categorie dell’interdipendenza e della statualità, del nesso politica ed economia, sull’uso della categoria del cesarismo e della rivoluzione passiva che contraddistinguevano lo status quo crollato per effetto della “Primavera araba”. La fine del “secolo occidentale” e l’inizio del nuovo secolo – segnato anche dal rinascere, dopo l’egemonia occidentalista di destra seguita all’11 settembre, da un anticoccidentalismo di destra sia in Europa e in Italia  sia in Israele – , così come la vittoria di Obama negli Usa porgono alla sinistra europea e occidentale una straordinaria opportunità di rivedere la sua impostazione antioccidentalista – che ne faceva su tali temi ora sempre più egemonici una sorta di “oriundo in patria” – e di fondare un nuovo “occidentalismo di sinistra”. A partire dalle ragioni di questo possibile “occidentalismo di sinistra” il libro argomenta che la chiave per costruirlo è un nuovo rapporto con Israele: occorre passare da un’equidistanza ad una identificazione. Superando così un europeismo che spesso è stato anche un surrogato di un’identità occidentale non pienamente compiuta.

Le conclusioni argomentano che questa nuova cultura politica della sinistra e un suo rinnovato e completo rapporto con l’identità occidentale è la premessa per chiudere l’egemonia culturale della destra neoconservatrice nelle relazioni internazionali, basata sul paradigma dello “scontro tra civiltà”. In realtà il vero tema è infatti uno “scontro nelle civiltà”, e da esso deriva sia l’acquisizione del concetto di “limite” e dunque una nuova frontiera democratica nelle relazioni internazionali, ma anche una nuova e alternativa lettura della globalizzazione, capace di dare  consapevolezza su quali siano le vere sfide nel medioriente  e nel mondo.

METODOLOGIA

il saggio si basa sull’analisi di fonti non italiane, se si esclude la parte dei rapporti della sinistra italiana con il sionismo ed Israele. Per questa parte le fonti sono state i quotidiani La Repubblica, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore, quasi tutta la bibliografia saggistica relativa alla sinistra e Israele, più una inedita ricerca su fonti web sulla destra estrema filoislamica italiana ed europea. La principale base di questo lavoro, cominciato nel 2008 ed ultimato nel 2012, sono però fonti e saggi di provenienza israeliana o statunitense. Particolarmente innovativa ed inedita è la parte di analisi delle strutture e dei centri e dei think tank neoconservatori israeliani, compresi le pubblicazioni Azure e Hebraic Political Studies, del tutto inedita non solo in Italia ma in Europa. Così come la relazione tra la destra neoconservatrice israeliana e quella statunitense. Il testo è corredato da un ampio corpo di note; si tratta infatti di un’analisi di tipo scientifico che si avvale di numerose fonti in forma di saggio, web o giornalistiche. Tra i saggi si conta la lettura integrale delle opere di e su Benjamin Netanyahu, oltre a numerosi saggi israeliani e anglosassoni non tradotti in italiano sulla cultura politica ebraica ed occidentale. Tra le fonti giornalistiche vi sono The New York Times, The Wall Street Journal, The New York Review of Books, The Guardian, YNet, Haaretz, The Jerusalem Post, The Jerusalem Report, Foreign Policy, The New Republic, The New Yorker, The Atlantic e le pubblicazioni più importanti del mondo ebraico statunitense, tra cui The Forward, The Jewish Telegraphic Agency, Jewish Ideas Daily, The Jewish Journal, Tablet Magazine, The Daily Beast, The Commentary. Tra le fonti web vi sono quelle ufficiali del governo israeliano e statunitense, dei think tank Usa in particolare di provenienza neoconservatrice, di analisti indipendenti, dello Shalem Center – in particolare le sue Jerusalem Letters – e del JCPA israeliani, di blogger israeliani e statunitensi, di massmedia arabi.

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