Il comune di Milano, accogliendo la richiesta che era stata presentata
alcuni mesi fa da Sinistra per Israele in occasione del ventennale
dell’assassinio del Primo Ministro e Premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin, ha
annunciato che:
martedì 3 maggio 2016 alle ore 14,30,
i giardini di piazzale Tripoli verranno intitolati allo statista israeliano
Fiero sionista, fu il leader dell’Organizzazione Sionista Mondiale nel 1946. Capo dell’Agenzia Ebraica, divenne leader di fatto della comunità ebraica di Palestina (Yishuv): da questa posizione condusse la lotta del movimento sionista nel Mandato britannico della Palestina volta alla fondazione di uno stato ebraico indipendente. Il 14 maggio 1948 proclamò ufficialmente la nascita dello Stato d’Israele e fu il primo firmatario della Dichiarazione d’indipendenza israeliana, che contribuì anche a stendere. Leader militare durante la Guerra arabo-israeliana del 1948, Ben Gurion unì le diverse milizie ebraiche costituendo le Forze di difesa israeliane. Per l’opera che ha contraddistinto l’intera sua esistenza, è ricordato come “Padre fondatore d’Israele”.
Dopo la guerra Ben Gurion ricoprì la carica di primo ministro, fornendo un prezioso contributo nella creazione delle istituzioni statali israeliane. Inoltre favorì il ritorno in Israele di molti ebrei della diaspora (Aliyah). Nelle relazioni internazionali, uno dei suoi maggiori successi riguarda i rapporti diplomatici con la Germania Ovest. Ben Gurion collaborò ottimamente con il cancelliere Konrad Adenauer. La Germania federale fornì ingenti finanziamenti in compensazione delle persecuzioni della Germania nazista contro gli ebrei (Olocausto).
Dal 1891 divenne corrispondente da Parigi del giornale Neue Freie Presse. A Parigi ebbe modo di seguire l’affare Dreyfus e conoscere quanto radicato fosse nella società europea l’antisemitismo; i suoi diari descrivono anche gli altri eventi che, nel corso dei suoi viaggi, contribuirono alla sua formazione culturale[1].
Nel 1896 pubblicò Der Judenstaat (Lo Stato ebraico) dove propugnava ai governi europei l’idea che si creasse uno stato ebraico (in una qualsiasi colonia delle potenze europee), che sottraesse gli ebrei alle persecuzioni antisemite. Fu poi il fondatore, nel 1897[2], del movimento politico del sionismo, che si proponeva di far sorgere nei Territori Coloniali del Mandato britannico della Palestina uno Stato Ebraico.
Dopo la morte, la sua salma fu in un primo momento sepolta accanto a quella del padre a Döbling per poi essere trasferita – in ottemperanza alle sue volontà testamentarie – nel 1950 a Gerusalemme, dove fu sepolta su una collina che in suo onore venne chiamata Monte Herzl. Nell’ultimo viaggio di Papa Francesco in Israele, la tomba di Herzl è stata per la prima volta visitata da un pontefice.
Di formazione agricolo-militare, tipica della comunità (Yishuv) israeliana negli anni del Mandato britannico, Rabin nasce da Nehemiah Rabin e Rosa Cohen. Fu tra i fondatori del Palmach (acronimo di Pelugot Machaz, “squadre d’assalto”) che contribuirono in maniera decisiva alla costituzione dell’esercito del futuro Stato di Israele (le IDF), anche se il suo sogno fin da bambino era quello di diventare ingegnere idraulico per garantire acqua al suo kibbutz. Fu comandante della brigata Harel che conquistò Gerusalemmedurante la prima guerra arabo-israeliana. Nell’estate del 1948 sposò Leah Schlossberg dalla quale ebbe due figli: Dalia e Yuval.
Carriera militare
nell’esercito dopo la costituzione dello Stato, divenne Capo di Stato Maggiore dell’esercito nel periodo della guerra dei sei giorni, e si deve a lui, assieme a Moshe Dayan, la concezione di attacco che portò alla distruzione a terra dell’intera forza aerea egiziana e siriana. Lasciato l’esercito nel 1968, fu nominato ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d’America durante i quali rafforzò la solida alleanza tra gli Stati Uniti e Israele.
Scaduti i termini della missione, rientrò in patria facendo il suo ingresso alla Knesset alle elezioni del dicembre 1973 come membro del partito Partito Laburista Israeliano e successivamente, nel marzo 1974, venne nominato ministro del lavoro. A seguito delle dimissioni di Golda Meir, Rabin sconfisse Shimon Peres alle elezioni per la leadership del partito e nel giugno 1974 venne eletto primo ministro. Con Peres ebbe una forte antipatia politica e personale per due decenni. Fu sua la decisione di autorizzare la missione di salvataggio di Entebbe, il cui successo fece salire la popolarità di Rabin alle stelle.
Tuttavia nell’aprile 1977 uno scandalo giornalistico rivelò l’esistenza di un conto corrente che Leah Rabin aveva mantenuto illegalmente su una banca americana, sin da quando il marito era ambasciatore negli Stati Uniti, violando le norme valutarie del tempo. Nonostante non fosse coinvolto, Rabin rimase al fianco della moglie e diede le dimissioni. Lasciò la guida del partito a Shimon Peres, il quale venne sconfitto alle elezioni del 1977 dal leader della destra Menachem Begin. Rimase nella Knesset per i successivi otto anni senza ricoprire cariche pubbliche. Rientrò come ministro della Difesa nel governo di unità nazionale del 1984.
Nel 1992 il Partito Laburista Israeliano decise di puntare su Rabin. La scelta si rivelò azzeccata e Rabin, che col tempo si era guadagnato il soprannome di “Mister Sicurezza”, tornò a coprire la carica di Primo ministro e anche quella di Ministro della Difesa. Chiamò al ministero degli affari esteri il suo compagno-rivale Shimon Peres con il quale aveva appianato le vecchie divergenze. Nell’agosto del 1993 venne resa pubblica la notizia che israeliani e palestinesi avevano trattenuto negoziati diretti per otto mesi. La notizia fece scalpore in tutto il mondo. In Israele suscitò una forte opposizione da parte della destra religiosa che non perse occasione per organizzare manifestazioni contro Rabin e la sua politica di pace.
La sera del 4 novembre 1995, dopo aver preso parte a un comizio in difesa della pace a Tel Aviv, fu assassinato da Ygal Amir, un colono ebreo estremista. Ai suoi funerali a Gerusalemme parteciparono circa un milione di israeliani e molti esponenti di rilievo della politica mondiale.[1] Parteciparono anche molti leader arabi i quali non erano mai stati in Israele prima d’allora.
Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per gli sforzi nel processo di pace nel Vicino Oriente, culminati con gli Accordi di Oslo. Nel 2005 è diventato vicepremier nel governo di coalizione guidato da Ariel Sharon che gli ha affidato il ministero per lo sviluppo del Negev, della Galilea e dell’economia regionale. Nello stesso anno ha lasciato a sorpresa il Partito Laburista per aderire al partito centrista Kadima fondato dallo stesso Sharon. Eletto presidente d’Israele il 13 giugno 2007, è entrato in carica dal successivo 15 luglio sino al 24 luglio 2014. A partire dal 1º gennaio 2013 è stato il capo di Stato più anziano del mondo.[1]
ADDIO A PERES, UNA VITA PER LA PACE
Molto più di altri giganti di quel sionismo “costruttivista” e di
stampo socialista che ha fatto Israele, Shimon Peres incarnava quasi
fisicamente la naturale tensione politica ed etica alla pace. Di quel sionismo
infatti Peres prendeva d’istinto e senza remore la primazia della politica, la
duttilità pragmatica e l’ispirazione socialista. Al contrario di quasi
tutti quei giovani e futuri grandi d’Israele che alla fine degli anni ‘40
fecero parte come lui della ristretta cerchia attorno al padre della patria
David Ben Gurion, Peres non era un militare e un soldato. Era un politico. Non
partiva dall’esercizio delle armi per poi inquadrarle in una superiore visione
e pratica politica- come fecero molti altri del gruppo come Ytzhak Rabin e
Moshe Dayan – bensì, al contrario, partiva dalla Politica per eventualmente
arrivare alla sua traduzione pratica anche con le armi. Per lui era la politica
la sola arte che poteva assicurare la sopravvivenza di quel fragile miracolo
costituito dalla fondazione dello Stato d’Israele. Per questo, oltre che per il
fatto di non essere un “sabra” perché era nato nel 1923 nell’allora Polonia
– il termine significa “fico d’india” in ebraico ed è usato per gli ebrei
nati in Israele, come Rabin – Peres è stato il vero erede di Ben Gurion. E come
Ben Gurion, Shimon Peres sentiva nelle sue corde la dottrina della mamlachiut – il primato
della Nazione e la preminenza dello Stato sulla società civile. Ma proprio come
il suo maestro – che lo storico israeliano Zeev Sternhell non a caso ha
definito “il profeta armato” – non era affatto un pacifista. Semplicemente le
armi non le usava in prima persona, ma le organizzava con la politica. Quando
entrò nell’Haganà – il nucleo del futuro esercito d’Israele – nel 1947, il suo
incarico fu infatti di responsabile del personale e dell’acquisto delle armi.
Dimostrò subito un talento conseguente. Tanto che nella prima guerra
d’indipendenza nel 1948, quando il neonato – per un voto dell’Onu, unico caso
della Storia – Israele viene assaltato subito da ogni parte dagli eserciti di 5
paesi arabi e dalle milizie “volontarie” di altri 3, diviene capo della marina
israeliana. E poi nel 1953 direttore generale del Ministero della Difesa. Qui
l’idea di Peres che le armi fossero uno strumento della politica e non il
contrario, che occorresse prima vedere dove e come colpire, e poi eventualmente
tradurre tale visione in piani strategici e operativi, dispiegò tutto il suo
potenziale. Ed è proprio in questo strategico ma oscuro ruolo che Peres
comincia a diventare quello statista che poi avrà il suo massimo fulgore 40
anni più tardi come architetto del processo di pace di Oslo, con il conseguente
Nobel per la Pace, e nel suo mandato di Presidente della Repubblica, dal 2007
al 2014. Perché è da questa postazione che Peres, figlio askenazita di
un’Europa matrigna ma che conosceva ed amava, riesce ad instaurare un fecondo e
profondo legame con la Francia. Riuscendo a far arrivare da quel paese le armi
che servivano: sia quelle di piccolo taglio, necessarie per difendersi dai
continui attacchi e infiltrazioni dal Libano, dalla Siria, dalla Giordania e
dall’Egitto, sia quelle più potenti per la difesa aerea, come il moderno caccia
Mirage, sia quelle “esistenziali” e di ultima difesa, come quelle nucleari.
Peres è infatti il padre del programma atomico israeliano, e del reattore di
Dimona che ne diviene la base dal 1957.
La sua pure quasi cinquantennale carriera parlamentare e politica nel
laburismo, che comincia nel 1959 con il primo mandato alla Knesset per il
Mapai, è in realtà nel bene e nel male già tutta in questo Peres architetto
politico della sicurezza d’Israele. Un profilo che politicamente ne segnò per
sempre il corso. Perché se Peres fosse stato un leader politico in un paese non
minacciato esistenzialmente, il cui popolo aveva oltre tutto sofferto del
terribile trauma della Shoà, egli avrebbe avuto onori e favore popolare pari
alla sua competenza. Ma Peres era un politico e non un soldato, in un paese
però necessariamente in armi. E così non sarà.
Verrà sempre guardato di sottecchi, come a verificarne la capacità di
leadership, eternamente messa in dubbio, a tratti ridicolizzata a destra, a
volte irrisa a sinistra dai suoi stessi compagni laburisti. La sua competenza
politica lo porta ad essere molte volte ministro, dei Trasporti e delle
Telecomunicazioni (1970-1974), della Difesa (1974-1977 e 1995-1996), delle
Finanze (1988-1990), degli Affari Esteri (1986-1988 e 1992-1995 e2001-2002) ma
Premier solo ad Interim (1984 -1986 e 1995-1996) e mai eletto. Perché il
partito laburista lo scelse come proprio leader due volte – alle elezioni del
1977 e a quelle dopo l’omicidio di Rabin nel 1996 – ma Peres quelle elezioni le
perse. Competente ma privo del necessario profilo militare per la prima linea
da capofazione, Peres si rivelò infatti anche sfortunato, perché sia le
elezioni politiche del 1977 (vinte da Menachem Begin) sia quelle del 1996
(vinte da Benjamin Netanyahu) furono elezioni periodizzanti nella svolta a
destra del paese. Nel 1977 si interruppe un’egemonia politica del laburismo che
durava dagli anni Trenta. Nel 1996 vince per la prima volta quel Netanyahu che
poi rivinse altre tre volte, unico nella storia di Israele. Dopo quella anche
umanamente terribile sconfitta da parte di colui che nelle piazze incitava
all’odio per il premier Rabin e poi ne riuscì a prender il posto nelle elezioni
che seguirono, Shimon Peres decide di rassegnarsi e di fare un passo indietro.
Ed è proprio questo passo indietro che gli permetterà in realtà di farne due
avanti. Guardandosi allo specchio capì che non era un generale, e dunque non
sarebbe stato mai amato dal popolo come un eroico fratello maggiore. Però
continuando a guardare vide uno statista e un saggio padre della Patria,
conscio che la sua visione politica era l’unica che poteva garantire alla lunga
la sicurezza di Israele.
Una visione politica e non messianica, che dunque vede al centro il Popolo e
non la Terra, al contrario di quello che pensa quella destra israeliana oggi al
potere, impegnata a riaprire una lotta sul sionismo che con Jabotinski la vide
invece perdente negli anni Trenta rispetto a Ben Gurion. Per questo
scrisse anche “Ben Gurion, a Political Life” nel 2011, che è il suo vero
testamento politico. Con lui se ne va anche la sua creatura, quel processo di
Pace di Oslo che tanto ha fatto sperare. Ma il fatto che Peres statista per la
prima volta sia accompagnato da quel favore popolare che da capofazione non ha
mai ottenuto, è segno non solo della serenità finale della sua
straordinaria vita, ma anche delle risorse morali di cui Israele ancora dispone
per reinventare e quindi costruire quella pace che Peres riteneva – a ragione –
esiziale per la sopravvivenza del suo amato paese.
Una serata sul tema dell’intolleranza e della discriminazione e sulle conseguenze pericolose per il nostro vivere democratico.
Mercoledì 23 gennaio 2019 Serata in ricordo di Roberto Franceschi 1973 – 2019
Aula Magna Università Bocconi – Via Gobbi 5, Milano in collaborazione con ISU Bocconi Ore 20.00 ingresso gratuito
DIVERSI
Il Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.
Umberto Eco
In apertura:
Lydia Franceschi, Presidente Onoraria Fondazione Roberto Franceschi Onlus Gianmario Verona, Rettore Università Bocconi Paola Arzenati, Direttore Generale Fondazione Isacchi Samaja Onlus proclameranno i vincitori dei Fondi di Ricerca Roberto Franceschi.
A seguire:
Proiezione del Film 1938: DIVERSI
Il film sarà preceduto da un incontro coordinato da Benedetta Tobagi, con la partecipazione di:
Paolo Berizzi, giornalista e scrittore Marco Damilano, direttore de L’Espresso Gad Lerner, giornalista e scrittore Roberto Levi, produttore del film Massimo Righetti, distributore del film Giorgio Treves, regista del film
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti, previa registrazione.
Il film sarà inoltre proiettato eccezionalmente per le scuole alle 12.30 dello stesso giorno presso l’Istituto Artemisia Gentileschi di via Natta 10 a Milano, alla presenza del regista Giorgio Treves.
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