I TERRORISTI CHE NESSUNO VUOLE VEDERE
Fabio Nicolucci
Le dimensioni del massacro in due moschee in Nuova Zelanda sono tali da porre in modo ultimativo una semplice domanda: “chi è il nemico”? Sinora si è data una risposta confusa. Perché in occidente non vi è accordo e unità sull’analisi del fenomeno. Di conseguenza, non vi è unità d’azione.
Non vi è unitarietà di analisi perché nel nostro spazio pubblico si confrontano due letture assai diverse del fenomeno “Terrorismo”. Che discendono da due oramai opposte “Weltanschauung” – visione del mondo, ndr. – su come leggere la crisi dell’occidente nella quale siamo immersi. Più che destra e sinistra, infatti, nella cultura politica occidentale si scontrano due modi di guardare la realtà.
Il primo è intriso di ideologia, dove il “dover essere” è fumoso ma proietta sullo schermo le proprie paure e frustrazioni, e trova nell’Altro la cifra del problema. Qui la realtà è lineare, spesso monodimensionale, incontrovertibile fino all’antiscientismo e poi all’irrazionalismo, prodotto da uno scioglimento della dimensione storica in quella ideologica.
In questa modalità, fatta propria dal razzismo e dal suprematismo bianco e da tutti coloro che vedono le civiltà come monoliti monodimensionali, dopo il Comunismo ora il nemico è l’Islam. In quanto tale. Essa cresce nel brodo di coltura dell’islamofobia – un razzismo declinato in salsa religiosa e non etnica – fino a far scrivere in un comunicato ufficiale al senatore australiano del Queensland Fraser Anning ieri “la vera causa del massacro nelle strade della Nuova Zelanda oggi è il programma di immigrazione che ha permesso a mussulmani fanatici in primo luogo di emigrare in Nuova Zelanda. Siamo chiari, anche se mussulmani possono essere state oggi le vittime, di solito essi sono i perpetratori. L’intera religione dell’Islam è semplicemente la violenta ideologia di un despota del sesto secolo mascherato da leader […] e la verità è che l’Islam non è come le altre fedi.”
Il secondo modo segue invece il realismo. Lo studio di quella “realtà effettuale” che Machiavelli indicava come vero obiettivo dell’analisi per non finire ad acchiappare nuvole. Qui la realtà è complessa, spesso intricata, sicuramente non lineare e certo non meccanicistica. Ed è un fenomeno dove conta molto la dimensione della Storia, e quindi le fake news non hanno legittimità perché la contraddicono.
Se si guarda dunque con realismo politico la realtà del terrorismo, si capisce che il fenomeno non è uno e indistinto, bensì vi sono due terrorismi distinti. Il primo è un progetto politico globale del jihadismo – entro il cui universo di senso possiamo anche inscrivere i fenomeni di radicalizzazione in occidente – che opera per acquisire meriti contro “il nemico lontano” per vincere la battaglia per il potere all’interno della propria civiltà islamica. La lotta colpisce anche noi, ma l’obiettivo primo è sconfiggere i riformisti all’interno dell’Islam.
Il secondo è un terrorismo di estrema destra, razzista e suprematista. Che gli islamofobi non vedono, e che l’ascesa e la centralità dei jihadisti ha fatto sottovalutare anche agli apparati di intelligence. Che dimostra la falsità dell’assunto “non tutti i mussulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono mussulmani”. Non era infatti mussulmano bensì ebreo quel Baruch Goldstein che esattamente 25 anni fa all’alba del 25 febbraio 1994 trucidò 39 fedeli in preghiera nella moschea dei patriarchi di Hebron per far deragliare il neonato processo di pace con i palestinesi di Oslo. Non era mussulmano bensì suprematista bianco e islamofobo quel Anders Beivik che il 22 luglio del 2011 uccise 77 persone a Oslo e nell’isolotto norvegese di Utoya. Non è mussulmano Luca Traini, il cui nome sporca il nostro orgoglio nazionale – e la nostra coscienza – fino ad essere citato come esempio dal terrorista che ieri ha ucciso 49 persone. Non era mussulmano bensì suprematista bianco quel Robert Bowers che il 27 ottobre scorso ha massacrato 11 fedeli ebrei in una sinagoga di Pittsburgh, negli Usa (v.foto).
I due terrorismi sono diversi, perché quello jihadista si avvale anche di una struttura organizzata mentre quello di estrema destra non ha strutture formali. Ma ambedue si nutrono di universi di senso che li sostengono, diversi ma ben precisi. Con ideologi, pubblicazioni, e una convergenza nell’uso dei social media e della propaganda, che i neonazisti sempre più mutuano da quella del jihadismo. Fino alla tattica di “alzare il volume” con dirette in streaming.
Mentre dunque il jihadismo rimane la nostra preoccupazione principale, la sottovalutazione prodotta dall’analisi di chi vede solo questa – più che reale – minaccia produce una sottovalutazione della seconda. Ed è bizzarro, anche perché mentre l’estrema destra è seconda al jihadismo per quantità di massacri collettivi, è assolutamente prima e di successo negli assassini politici, come insegna quello di Ytzhak Rabin. Eppure il Global Terrorism Index segnala una sua forte crescita, visto che siamo passati dai 20 attacchi nei 13 anni tra il 2001 e il 2014, ai 61 dei tre anni seguenti. Con l’uccisione di una deputata inglese, Jo Cox, e per esempio la diffusione di una rete internazionale di militanti che dal gruppo neonazista e antimussulmano inglese National Action si estende a Germania, Scandinavia, paesi anglosassoni – tra cui Australia e Nuova Zelanda – e paesi baltici. Almeno per il momento.
Perché se non risolveremo la nostra interna dissonanza cognitiva – che è poi un dissenso e disaccordo interno su “chi è il nemico” – , il massacro di ieri può aprire una terribile e nuova convulsione nelle nostre società e nei rapporti con l’Altro, a cominciare dal nostro Islam in occidente. Proprio come 25 anni fa il massacro di Baruch Goldstein terremotò e iniziò a far fallire il processo di pace tra israeliani e palestinesi.
Fabio Nicolucci
(articolo pubblicato su Il
Mattino di sabato 16 marzo 2019)