LA VITTORIA DI NETANYAHU, ISRAELE E L’OCCIDENTE
Fabio Nicolucci (articolo pubblicato su Il Mattino di giovedì 11 aprile 2019 )
Dopo la notte elettorale in Israele, solo una persona si è svegliata ieri mattina più felice di Benjamin Netanyahu. Ed è Donald Trump. La vittoria di Netanyahu conferma infatti l’attuale direzione della politica occidentale, che marcia a passo spedito verso la rimozione della complessità dei fenomeni, la conseguente abdicazione alla loro soluzione sistemica e la scelta di capri espiatori illusori ma sempre diversi da sé.
Se Netanyahu è l’ideologo di questa larga coalizione di destra basata sull’irrazionalismo e sul moralismo anti-realpolitik, Trump ne è l’azionista di maggioranza. E dunque da ieri il Presidente Usa può più serenamente guardare al traguardo della rielezione nel 2020. Ha fatto di tutto per dargli una mano, spostando dapprima in modo unilaterale l’ambasciata Usa a Gerusalemme, poi proclamando il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan strappato in guerra alla Siria nel 1967, e quindi piegandosi allo schieramento anti-Iran voluto da Netanyahu. Malgrado esso significhi fare perno sull’Arabia Saudita del principe Mohammed Bin Salman, coprendone tutti i comportamenti, dall’assassinio di Khasoggi a soprattutto la disumana guerra in Yemen.. Su cui il Congresso Usa ancora non si è rassegnato a chiudere gli occhi.
Se dunque i vincitori della cruciale tornata elettorale del 9 aprile sono chiari, il primo perdente è la sinistra. Quella che di fronte alla crisi dell’Occidente propone una grammatica di scientismo e razionalità che la coalizione di destra vincente ed egemonica è riuscita ad etichettare come “casta”, “intelligenza con il nemico”, “debolezza”, e in definitiva tradimento. Una forse vetusta, certo non nuova, proposta di rispondere a complessità con complessità, che in questi tempi di fugacità e percezioni immediate, immersi nel turbine di una globalizzazione che porta con sé anche disuguaglianze e terrorismo, è parsa incerta ed elitaria.
A studiare i dati di ieri del laboratorio politico israeliano, che la sinistra non capisce più da tempo e che invece è strategico e per ragioni storiche costituisce “l’occidente dell’Occidente”, si vede come a far vincere a Netanyahu il suo quinto mandato è stata soprattutto la sua capacità coalizionale. Dando rappresentanza e quindi identità a tutte le pieghe della destra. Perfino a quelle razziste e violente dei seguaci del rabbino Kahane, rientrati nella Knesset dopo esserne stati cacciati da Shamir – un’altra destra, un altro Israele, un altro sionismo – nel 1988. Il risultato dello sfidante Benny Gantz, pluridecorato generale ex Capo di Stato Maggiore del glorioso esercito israeliano, è infatti numericamente strepitoso. Dal nulla ha conquistato 35 seggi su 120, esattamente come il premier uscente. Il problema è che la sua proposta di sicurezza per Israele basata su una piattaforma democratica e non tribale, di riconoscimento del nemico e non della sua rimozione – i palestinesi – o della sua fuorviante demonizzazione moralistica – l’Iran – ha convinto a sinistra ma non a destra.
Dopo la sbornia elettorale, però, i problemi di Israele rimangono sul tappeto.. Anzi sotto. In primis quello della scelta tra tutta la Terra biblica oppure il Popolo. Perché se si sceglie la Terra, come vogliono la destra e soprattutto i partiti religiosi ortodossi che la sostengono, ad un certo punto la superiore crescita demografica dei palestinesi imporrà di scegliere tra un Israele ebraico ma non democratico oppure un Israele democratico ma non più ebraico. Per evitare questa scelta, che snaturerebbe il sionismo, i professionisti della sicurezza hanno fondato il partito di Benny Gantz. Perché per loro la scelta è il Popolo, la cui difesa è suprema. Ed è possibile solo con uno Stato palestinese, malgrado tutto e con tutte le possibili cautele. Legata a questa questione principe e dirimente, da cui discendono le altre e la cui rimozione dalla scena politica prima israeliana e poi internazionale è proprio per questo indicativa, vi è poi quella del tipo di sistema politico. La rielezione per la quinta volta di Netanyahu, con il suo fardello di conflitti di interesse sotto inchiesta della magistratura, rischia di spezzare il sin qui funzionale equilibrio dei poteri. E, di conseguenza, dipendendo dalla volontà dei partiti religiosi di fare una leggina ad hoc che gli conceda l’immunità, anche di sbilanciare i rapporti tra religiosi e laici a favore dei primi..
Così, mentre le ricadute internazionali della vittoria di Netanyahu sono per lo più positive per la destra occidentale, che festeggia – insieme a Putin – e affila le armi contro europeisti e multilateralisti “lenti” e “razionalisti”, esse rischiano di essere drammatiche per la sicurezza di Israele sul lungo periodo. Un giornale israeliano ha definito Netanyahu “un genio politico che sta guidando Israele verso l’abisso”. Una contestuale grande notizia di scienza, la fotografia per la prima volta di un buco nero, rischia di indicare quale possa essere la destinazione di un Israele incapace di raddrizzare la rotta.