ISRAELE-PALESTINA: COSA RESTA DEL “PATTO DEL SECOLO” DI TRUMP?
A cura di: Eugenio Dacrema, Associate Research Fellow, ISPI MENA Centre ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale 24 giugno2019 |
Il 25 e 26 giugno si terrà a Manama, in Bahrein, una conferenza economica che vedrà la presenza di rappresentanti di numerosi stati arabi, degli Stati Uniti e di Israele. Nella mente dei suoi ideatori – in primis il genero di Donald Trump Jared Kushner e l’inviato statunitense per il Medio Oriente Jason Greenblatt – questo incontro avrebbe dovuto rappresentare l’occasione per presentare gli aspetti economici del cosiddetto “Patto del Secolo” (Deal of the Century), ovvero il piano dell’amministrazione Trump per mettere fine al conflitto israelo-palestinese. Alcuni imprevisti hanno però ridimensionato le aspettative degli organizzatori, i quali nelle ultime settimane hanno cercato di riformularne il significato per evitarne il completo fallimento. Quali sono quindi i nuovi obiettivi che gli organizzatori si prefiggono? Chi vi parteciperà? E quanto verrà svelato sul “Patto del Secolo”?
La verità è che, se non fosse per la pompa magna che ne ha accompagnato l’annuncio all’inizio dell’anno, quello che ci apprestiamo a vedere in Bahrein sarebbe uno di quegli eventi che anche gli osservatori abituali della regione tendono a segnalare come una semplice nota a margine. Questo perché la Conferenza di Manama è stata progressivamente ridimensionata dai suoi stessi ideatori – tanto che la sua definizione ufficiale è stata recentemente “degradata” da “conferenza” a “workshop” – a causa di alcuni imprevisti occorsi nell’ultimo mese. Il più grave è l’annuncio di nuove elezioni in Israele il prossimo 17 settembre, dopo il fallito tentativo del Premier in carica Benjamin Netanyahu di formare una maggioranza di governo in seguito alle consultazioni dello scorso aprile. Ciò ha comportato un nuovo rinvio della presentazione ufficiale del “Patto del Secolo” – inizialmente prevista questo mese – al prossimo autunno, quando un nuovo governo israeliano si sarà sperabilmente insediato. Come spiega Giuseppe Dentice in questo commentary, la Conferenza/Workshop di Manama, che doveva enucleare gli aspetti economici dell’accordo in concomitanza con la presentazione del Patto tout court, si è trovata quindi improvvisamente “azzoppata” della sua parte “politica”. A complicare le cose sono poi intervenute le resistenze di molti paesi arabi a partecipare a un incontro internazionale in presenza di una delegazione israeliana di alto livello. Per permettere una quanto più ampia adesione di stati arabi, quindi, è stato necessario ridurre il livello della partecipazione israeliana, la quale nei piani iniziali di Washington avrebbe dovuto includere lo stesso Premier Netanyahu. La delegazione in arrivo da Tel Aviv sarà quindi composta da uomini d’affari vicini al governo ma privi di cariche pubbliche rilevanti. Tutto ciò non è comunque servito a evitare il boicottaggio della conferenza da parte dell’Autorità Palestinese che, contraria fin da subito al piano Trump, è riuscita a mostrarsi compatta e a resistere alle pressioni statunitensi. In sostanza, quindi, la Conferenza annunciata in pompa magna pochi mesi fa assomiglia oggi più a un incontro preparatorio minore, in attesa che il Patto effettivo venga annunciato in autunno.
Al fine di garantire che non si tratti di un completo flop, gli organizzatori della Conferenza dovranno trovare il modo di darle un significato di qualche rilievo, sia nel framework del piano di pace israelo-palestinese sia rispetto agli ultimi avvenimenti che hanno riguardato la regione, in particolare la recente crisi tra Stati Uniti e Iran nel Golfo Persico.
Per quanto riguarda la questione israelo-palestinese, è da aspettarsi che a Manama vengano comunque rivelati alcuni aspetti fondamentali del piano Trump, che ha nella parte economica un pilastro fondamentale. Dalle voci trapelate finora, infatti, la logica fondamentale sottesa al “Patto del Secolo” è proprio quella dello scambio tra la rinuncia ad alcune fondamentali rivendicazioni palestinesi – Gerusalemme capitale, ritiro israeliano dal Golan, diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi all’estero, formazione di uno stato indipendente in Cisgiordania e a Gaza – in cambio di ingenti investimenti e aiuti economici a favore di uno stato palestinese solo semi-indipendente e limitato ad alcuni territori della Cisgiordania (forse sotto tutela congiunta israeliana a giordana) e verso i campi profughi palestinesi all’estero, i cui abitanti dovranno essere incorporati come cittadini negli stati che li ospitano. Secondo indiscrezioni, a Manama verranno promessi non meno di 50 miliardi di dollari in investimenti e aiuti, provenienti soprattutto dagli stati arabi del Golfo. In assenza di dettagli sui contenuti effettivi del piano Trump e di qualunque legittimazione del “Patto” da parte di qualunque rappresentante palestinese queste cifre rischiano però, con alta probabilità, di rimanere semplici numeri sulla carta con ben poche conseguenze concrete. La speranza di alcuni diplomatici americani, come Dennis Ross, è quindi che la discussione si concentri meno su piani di lungo termine e più sulle esigenze immediate dei palestinesi, le cui istituzioni e condizioni di vita sono allo stremo sia in Cisgiordania sia a Gaza.
L’incontro di Manama potrebbe però essere utilizzato da alcuni dei suoi più entusiasti partecipanti – ovvero Arabia Saudita ed Emirati, le due monarchie del Golfo più vicine a Israele e all’amministrazione Trump – anche per discutere della presenza iraniana nella regione. Non è un segreto infatti che il sostegno di queste nazioni al piano Trump – e la loro disponibilità a investirvi ingenti somme – sia soprattutto dovuta all’obiettivo di ricevere in cambio un attivo supporto statunitense contro Teheran.
La Conferenza di Manama rischia quindi di essere un flop, quantomeno rispetto agli obiettivi originali per cui era stata ideata. Ma secondo voci sempre più insistenti, a rischio fallimento non vi è ormai solo il workshop economico in Bahrein, ma l’intero piano Trump, ovvero quel “Patto del Secolo” di cui si parla da oltre due anni. Dopo aver subito numerosi rinvii e impreviste resistenze anche da parte di stati arabi molto vicini a Washington, come la Giordania, il “Patto” ha ricevuto un nuovo colpo – forse questa volta mortale – dall’annuncio di nuove elezioni israeliane. Secondo l’ultima versione della scaletta di implementazione formulata dai suoi ideatori – primo fra tutti il genero del presidente americano Jared Kushner – la presentazione ufficiale del piano sarebbe dovuta arrivare questo mese, poco dopo la formazione del nuovo governo a Tel Aviv. Il fallimento di Netanyahu nella ricerca di una nuova maggioranza parlamentare ha fatto slittare l’annuncio almeno fino al prossimo autunno, periodo che però cade in concomitanza con l’inizio della campagna per le elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti. Secondo diverse voci circolanti negli ambienti diplomatici, la strategia emergente nella regione – soprattutto fra gli stati contrari come la Giordania e l’Egitto – sarebbe quella di smettere di contrastare il piano in modo diretto – dopo molti tentennamenti Giordania ed Egitto manderanno infatti una delegazione a Manama – e di aspettare che il “Patto del Secolo” muoia di “morte naturale” dopo l’estate. La stessa amministrazione americana sarebbe sempre più scettica sulle effettive possibilità di riuscita del piano e non sarebbe disposta a spenderci troppo capitale politico in piena campagna elettorale. Ad amplificare questa percezione da parte degli americani vi sarebbero anche gli atteggiamenti ambivalenti dimostrati da molti alleati arabi durante l’organizzazione della Conferenza di Manama. Mentre, infatti, durante incontri privati molti leader si sarebbero detti disposti a partecipare insieme a una delegazione israeliana di alto livello, gli stessi leader avrebbero poi rinnegato le proprie affermazioni nei loro annunci pubblici, sconvolgendo i piani americani. Ciò avrebbe dimostrato ai membri dell’amministrazione Trump l’evidente difficoltà, anche per i leader più vicini a Washington, di accettare pubblicamente un piano che azzera di fatto le principali storiche rivendicazioni del popolo palestinese. Scarso entusiasmo, inoltre, sarebbe stato dimostrato dallo stesso governo israeliano il quale, dopo aver incassato alcuni obiettivi cruciali come il riconoscimento statunitense di Gerusalemme capitale e della propria sovranità sul Golan, non sarebbe ora altrettanto entusiasta di accettare le seppur limitate concessioni previste dal “Patto del Secolo”.