Il ministro degli Esteri Lapid: “A Gaza sviluppo in cambio di sicurezza per noi israeliani”
Intervista con il ministro degli Esteri dello Stato ebraico: “I vincoli diplomatici economici e culturali creati dagli Accordi di Abramo hanno portato a più cooperazione prosperità e stabilità in tutta la regione”
Sharon Nizza , La Repubblica 24 dicembre 2021
GERUSALEMME – “Un governo responsabile” che faccia convergere i poli opposti verso soluzioni pragmatiche, a livello domestico, così come nella gestione del conflitto con i palestinesi, in assenza di una prospettiva diplomatica che non sembra profilarsi all’orizzonte. A parlare con Repubblica, nella prima intervista alla stampa italiana, è Yair Lapid, ministro degli Esteri e premier alternato del governo israeliano insediatosi sei mesi fa, una “grande coalizione” nata dal compromesso di otto partiti ai poli opposti per mettere fine a tre anni di crisi politica dopo quattro tornate elettorali.
Ministro Lapid, qual è il punto di convergenza di una coalizione così eterogenea?
“Per anni ci siamo abituati a “etichettare” chiunque: destra, sinistra, laici, ultraortodossi, ebrei, arabi. Questo governo mette fine alle etichette, facendo rivivere un’identità comune e condivisa, per costruire insieme un futuro migliore. Il comune denominatore è l’assunzione di responsabilità. La nostra coalizione presenta molti e diversi punti di vista – proprio come nell’attuale governo italiano – e arrivare a un consenso non è sempre semplice. Ma abbiamo già affrontato con successo una serie di questioni complesse grazie a discussioni ponderate che ci hanno permesso di trovare soluzioni a problematiche apparentemente intrattabili: la legge di bilancio approvata finalmente dopo tre anni e mezzo, leggi anticorruzione, misure senza precedenti per colmare i divari sociali”.
Dopo le tensioni nelle città a popolazione mista a maggio, l’ingresso nella coalizione di un partito arabo per la prima volta nella storia del Paese rappresenta un potenziale punto di svolta per il rapporto dello Stato con la sua principale minoranza?
“Come parte della collaborazione – di cui sono molto fiero – con Mansour Abbas e il suo partito Ra’am, abbiamo approvato uno storico piano nazionale per lo sviluppo delle comunità arabe, con miliardi di shekel dedicati a infrastrutture, educazione, potenziamento dei processi di integrazione occupazionale in particolare nel settore dell’high-tech. Uno dei principali test di una democrazia è come si relaziona alle minoranze: Israele investe in tutti i suoi cittadini per promuovere la piena uguaglianza civica. E questo non solo in nome dei valori in cui crediamo, ma perché siamo coscienti che non è possibile realizzare appieno il potenziale insito nella società israeliana senza la partecipazione di tutte le sue componenti, compresi gli arabi israeliani”.
Nonostante le recenti aperture del vostro governo verso l’Autorità palestinese, il premier Bennett ha ripetuto che la ripresa di negoziati di pace con i palestinesi “non è realistica” e che non intende incontrare Abu Mazen. Secondo l’accordo di rotazione, il 27 agosto 2023 lei subentrerà a Bennett alla carica di premier: ci sarà un cambiamento su questa linea?
“Anche se non ci sveglieremo domattina per scoprire che il conflitto israelo-palestinese è terminato, possiamo svegliarci e lavorare sodo per migliorare la vita degli israeliani e dei palestinesi. Stiamo già facendo passi tangibili per migliorare l’economia, le infrastrutture, la qualità della vita dei palestinesi. Ho elaborato un piano comprensivo per la Striscia di Gaza, “Economia in cambio di sicurezza”, e sono grato per il resoconto positivo e il sostegno ricevuto dalle mie controparti italiane. Il piano fornisce un orizzonte per milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza e di israeliani nelle comunità confinanti, la cui volontà di condurre una vita normale è costantemente minacciata dal terrorismo di Hamas. La prima fase del piano concerne la riabilitazione umanitaria di Gaza – riparazione delle infrastrutture elettriche, idriche, abitative e sanitarie – in cambio di una tregua a lungo termine da parte di Hamas e dell’impegno della comunità internazionale per impedirgli di acquisire nuovi armamenti per colpire i civili israeliani. La seconda fase prevede cambiamenti drastici per le vite degli abitanti della Striscia di Gaza, compresa la costruzione di un porto, più investimenti internazionali e un collegamento diretto tra Cisgiordania e Gaza. Naturalmente, non rinunceremo mai a riportare a casa i nostri soldati e civili tenuti in ostaggio e questo è un impegno che dovrà fare parte di qualsiasi piano. In tutte le fasi, il percorso è definito da una serie di parametri prestabiliti, e ogni violazione da parte di Hamas lo bloccherà o lo farà retrocedere. L’onere della prova sarà sempre a carico di Hamas. Come dimostra il progresso nella regione nell’ultimo anno dalla firma degli Accordi di Abramo, quando mettiamo le persone davanti alla politica, possiamo fare progressi che vanno a beneficio di tutta l’area. E su questa scia, sono fiducioso che tali progressi porteranno a un reale cambiamento anche a livello multilaterale. In questo senso crediamo che le democrazie come l’Italia debbano opporsi alle infinite risoluzioni diffamatorie contro Israele all’Onu e usare invece il proprio peso morale e il loro voto per stare dalla parte di Israele e respingere gli attacchi mirati contro di noi”.
Gli Accordi di Abramo si sono rivelati un game changer negli assetti regionali, ma quella che sembrava una scia di adesioni è rimasta ferma al 2020. Il vostro governo porterà a casa nuove normalizzazioni?
“Nell’ultimo anno, abbiamo visto emergere una nuova realtà in Medioriente. I rapporti diplomatici, economici, di sicurezza, culturali e interpersonali creati dagli accordi di normalizzazione hanno portato a maggiore cooperazione, prosperità e stabilità in tutta la regione. Non passa giorno senza che vi sia l’annuncio di una nuova iniziativa di cooperazione o di una storica visita ufficiale. Una cooperazione che ha dato i suoi frutti anche sul suolo italiano: le ambasciate israeliana e marocchina a Roma si sono riunite poche settimane fa per celebrare Hanukkah, e Ram Ben-Barak, presidente della commissione esteri e difesa della Knesset, ha rappresentato Israele nel Dialogo MED a Roma, che ospitava diverse controparti mediorientali. È una svolta cui assistiamo non solo con i nuovi alleati, ma anche con i nostri storici partner regionali, Egitto e Giordania. Molti altri Paesi affrontano le nostre stesse sfide, che, specie in Medioriente, non conoscono confini nazionali: la pandemia, i cambiamenti climatici e il terrorismo internazionale guidato dall’Iran sono minacce che accomunano molti. Molti Stati, nella nostra regione e oltre, vedono la prospettiva futura di cui ho parlato più volte: chi collabora guiderà, chi continua a isolarsi rimarrà indietro. Quindi sono ottimista sul fatto che sempre più Paesi si uniranno al cerchio della pace. La nostra mano è tesa verso la pace”.
Cosa dovrebbe includere l’accordo sul nucleare Jcpoa perché Israele senta garantiti i propri interessi e accantoni l’opzione militare che, come ripetete, “è sul tavolo”?
“L’Iran rappresenta una minaccia globale e il mondo intero può e deve agire con determinazione per fermare il programma nucleare e le attività maligne dell’Iran. La formula è semplice: sanzioni più severe, supervisione più rigida, e condurre qualsiasi colloquio con Teheran da una posizione di forza. Un’opzione militare credibile deve essere sul tavolo. Se gli iraniani agiscono nella convinzione che il mondo non intenda veramente fermarli, continueranno nella loro corsa verso la bomba. L’Italia e l’Ue nel suo complesso fanno parte della “maggioranza morale”: quei Paesi che devono mettere in chiaro che non permetteranno mai all’Iran di acquisire un’arma nucleare. Questo è esattamente il messaggio che ho condiviso con il ministro degli Esteri Di Maio a Roma in quella che era stata la mia prima missione da ministro degli Esteri. L’Italia ha un ruolo di primo piano da svolgere in vari consessi internazionali per affermare la stabilità regionale in Medioriente. Detto questo, Israele non chiede a nessuno di garantire la propria sicurezza: siamo responsabili della sicurezza dei nostri cittadini. Sappiamo di non essere soli nella nostra battaglia per impedire all’Iran di acquisire l’arma nucleare, ma Israele è consapevole della necessità di doversi difendere sempre, con i propri mezzi”.
C’è un aumento di investimenti cinesi in infrastrutture e tecnologie israeliane: come valuta Israele questa partnership, anche rispetto alle pressioni degli Usa in merito?
“Nell’ambito degli investimenti stranieri, negli ultimi anni abbiamo consolidato un percorso, molto simile a quello di altri Paesi, per potenziare la supervisione imparziale sulle infrastrutture nazionali e sui beni strategici per proteggere la nostra sicurezza nazionale. Gli Usa sono il più grande alleato di Israele: un’alleanza indissolubile basata su interessi e valori condivisi e su forti legami tra i nostri popoli. Questa relazione è una pietra miliare della politica estera di Israele e della stabilità regionale. La Cina è un importante partner economico per Israele, e continueremo a dare il benvenuto a investitori e turisti provenienti da tutti i nostri partner nel mondo”.
Il mondo guarda a Israele come laboratorio dell’efficacia alla lotta al Covid: recentemente avete attuato l’esercitazione Omega, che ha preparato lo scenario di Omicron. Come vi state organizzando per il contrasto della pandemia nel 2022?
“A metà novembre abbiamo tenuto l’esercitazione nazionale che avevamo chiamato “Omega”, un gioco di guerra volto a simulare la risposta a una futura variante letale di Covid resistente ai vaccini. Questo perché anche dopo aver gestito con successo l’ondata Delta, sotto l’abile guida del premier Bennett e dei nostri eccellenti professionisti della salute pubblica, riuscendo a mantenere l’economia e il sistema scolastico aperti, abbiamo imparato che pianificazione e tempestività costanti sono fondamentali. Infatti, l’esercitazione Omega ha contribuito a formulare la nostra risposta all’ondata Omicron che si è palesata solo poche settimane dopo. Guardando al 2022, questa continua pianificazione e preparazione è al centro della nostra strategia. Israele continua ad essere all’avanguardia nelle vaccinazioni: siamo stati i primi, già a fine luglio, a somministrare il booster e siamo riusciti a mantenere l’economia aperta nel Paese grazie al Green pass. Ora, stiamo procedendo con la somministrazione della quarta dose. Manteniamo un canale di scambio globale ai massimi livelli di esperti. Con l’Italia in particolare, grazie a incontri regolari tra i nostri ministeri della Salute, condividiamo buone prassi e scambio di informazioni per contrastare la pandemia congiuntamente. L’obiettivo di questa cooperazione è quello di tornare a una routine di sicurezza e prosperità, che nel caso dei nostri Paesi significa riprendere quanto prima il grande flusso di turisti e rafforzare ulteriormente i nostri già stretti legami interpersonali, culturali ed economici”.