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ISPI Daily Focus 19 Novembre 2019
Con una storica e radicale inversione di rotta, gli Stati Uniti legittimano gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il Segretario di Stato Mike Pompeo sancisce la fine del sostegno americano alla soluzione dei due stati. Ma il “Piano del secolo” per la pace in Medio Oriente ancora non si vede…
La decisione rimette in discussione 40 anni di politica estera americana, ma Mike Pompeo l’annuncia quasi en passant. Da oggi gli Stati uniti non ritengono più illegali le colonie israeliane in Cisgiordania, ha detto il capo della diplomazia americana, aggiungendo che “non ci sarà mai una soluzione giudiziaria al conflitto” e che i dibattiti su “chi ha ragione e chi ha torto, ai sensi del diritto internazionale, non favoriranno la pace”. Apriti cielo. Considerati illegali dall’Onu, dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Quarta convenzione di Ginevra, gli insediamenti sono uno dei temi più ‘caldi’ del conflitto in Medio Oriente e uno dei principali ostacoli alla pace tra Israeliani e Palestinesi. Se in Israele la svolta americana è stata elogiata come “il ristabilimento di una verità storica” e “il riconoscimento di una realtà di fatto”, la reazione palestinese è quasi di sgomento: “Inaccettabile” è il commento della presidenza palestinese, per cui “Gli Stati Uniti non hanno nessun titolo per legittimare insediamenti considerati illegali dal diritto internazionale”.
Gli insediamenti sono comunità abitate da civili israeliani e costruite nei territori conquistati da Israele dopo la guerra del giugno 1967, detta “Guerra dei sei giorni”. Nel 1979, dopo aver firmato l’accordo di pace con l’Egitto, Israele si ritirò dalle colonie in Sinai. Nel 2005 l’allora premier israeliano Ariel Sharon ordinò di smantellare quelle presenti nella Striscia di Gaza. Oggi, negli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est e in Cisgiordania vivono circa 600.000 persone. Sono considerati illegali da tutti i maggiori organismi internazionali e contravvengono alla Quarta Convenzione di Ginevra. Nonostante le condanne internazionali, Israele ne rivendica la legittimità, negando che sia in atto un’occupazione e definendo i territori “contesi”. I Palestinesi ne chiedono a gran voce lo smantellamento poiché, argomentano mappe alla mano, le colonie creano discontinuità territoriale rendendo impossibile la creazione di due stati, uno palestinese l’altro israeliano. La posizione degli Stati Uniti sull’argomento si era finora allineata alla comunità internazionale, nella direzione indicata nel 1978 dall’allora presidente Jimmy Carter. Nel 1981 il primo a scalfire questa visione fu Ronald Regan, dicendo di non ritenere le colonie “del tutto illegali”. Da allora, gli Usa hanno adottato un registro intermedio, definendole “illegittime” ma non “illegali” e soprattutto, opponendo il veto alle risoluzioni di condanna in sede Onu. Nel suo discorso, Pompeo va oltre: non solo definisce gli insediamenti “non in contrasto con il diritto internazionale”, ma suggerisce che la questione della legittimità debba essere affrontata dai giudici israeliani, tagliando fuori la comunità internazionale. La stessa linea usata per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico nel dicembre 2017. Il riconoscimento, di fatto, delle colonie israeliane, offre un assist politico a Benjamin Netanyahu. Proprio l’ex premier, lo scorso settembre in piena campagna elettorale, aveva avanzato l’ipotesi di annettere le colonie allo Stato di Israele, nel tentativo di conquistare i voti della destra nazionalista. Oggi l’annuncio giunge mentre la politica israeliana è in fermento: dallo spoglio non è emerso un vincitore netto e il primo ministro incaricato, Benny Gantz, ha le ore contate per cercare di formare un esecutivo. In caso di fallimento, si ritornerà alle urne per la terza volta in un anno. Ma la tempistica dell’ennesima apertura di Trump verso Netanyahu non si spiega solo con le turbolenze interne alla politica israeliana . Anche per il presidente americano, tra le audizioni alla Camera per l’impeachment e la vittoria dei Democratici in Louisiana, quella che si è aperta ieri è una brutta settimana. La svolta repentina sulle colonie, suggerisce Ha’aretz, strizza l’occhio alla base conservatrice dei Repubblicani e agli elettori evangelici, parte fondamentale del “sionismo cristiano”. Inoltre, nelle prossime settimane, il presidente dovrebbe presentare il suo piano di pace per il Medio Oriente, di cui l’amministrazione parla da mesi con riferimento agli investimenti economici, ma finora rinviato per ben due volte. “L’accordo del secolo” ha promesso Trump, “consentirà di superare i dibattiti sterili che finora non hanno portato la pace in Medio Oriente”. Vedremo se il riconoscimento di Gerusalemme e delle colonie sortirà risultati migliori |
“Questo endorsement appare decisamente fuori tempo rispetto alle dinamiche della politica israeliana, oggi alle prese con un difficile stallo post-elettorale. Ma risponde invece bene alle esigenze interne all’amministrazione Usa, che deve distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle audizioni in corso per l’Impeachment e raccogliere consensi tra l’elettorato conservatore”. “Le dichiarazioni di Pompeo chiariscono comunque quale è la scelta di campo fatta da Washington riguardo alla soluzione dei due Stati. Proseguendo su questa linea Trump demolisce ogni clima di fiducia con i Palestinesi e mette una pesante ipoteca — forse pietra tombale — sulla sua ambizione, più volte sbandierata, di risolvere la questione mediorientale”. Gianluca Pastori, docente Università Cattolica, Ispi “È preoccupante che la superpotenza che – a torto o a ragione – in passato si è sempre dichiarata paladina del diritto internazionale abbia in poco tempo preso due decisioni in aperta violazione di quest’ultimo, prima sul Golan e ora sulle colonie. Sia l’occupazione delle alture del Golan sia la colonie in Cisgiordania sono infatti in aperta e universalmente riconosciuta violazione del diritto internazionale. Inoltre, negli anni passati, gli Stati Uniti facevano molte pressioni su Israele per evitare l’espansione delle colonie. Con Trump ogni stretta sull’argomento si è interrotta”. “I dettagli del piano di pace dell’amministrazione Trump per il Medio Oriente stanno emergendo alla spicciolata, anche se rimane poco chiaro quando verrà ufficialmente presentato. Prima il riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan e di Gerusalemme Est. Ora quello delle colonie. E poi, le promesse di ingenti investimenti nei Territori e nei paesi della regione che ospitano più profughi come Libano, Giordania ed Egitto. La percezione è che con quest’ultimo atto Trump stia cercando di rilanciare il suo piano per il conflitto Israelo-palestinese che molti credevano ormai cestinato. Facile pensare che giochi un ruolo anche l’intenzione di usare questi atti roboanti per distrarre dalle gravi difficoltà interne dell’Amministrazione ”. Eugenio Dacrema, ricercatore Ispi Medio Oriente e Nord Africa |