Colum McCann: “Vi racconto la pace tra un arabo e un israeliano”
di Andrea Bajani – Repubblica 21 Maggio 2021
La guerra non è l’unica scelta possibile. Come dimostra l’amicizia di Bassam e Rami, protagonisti reali del nuovo libro dell’autore irlandese. E di questo colloquio a distanza tra due scrittori sul potere delle storie
HOUSTON (Texas). Inizia tutto con un volo, e ancora non so che quella perdita dell’equilibrio diventerà il baricentro di quel che ci diremo. Ma è un fatto che da dentro il computer portatile in cui sto parlando con Colum McCann, di colpo decollo, vedo il soffitto della sua casa newyorkese, poi i pensili di una cucina, e lui che sorridendo mi poggia accanto al bollitore e si prepara un tè. Poco dopo prende la tazza con una mano e con l’altra il computer dentro cui ancora fluttua la mia faccia, e torniamo nel suo studio. Ed è così che finalmente ci parliamo, due scrittori europei ai due estremi dell’America.
Il volo di cui parliamo poco dopo cambia il tono alla conversazione. Sono gli aerei israeliani sopra la striscia di Gaza da cui piovono bombe, e i razzi di Hamas che in questi stessi istanti spaccano i cieli d’Israele. Tra le due traiettorie, le persone restano a terra senza vita. Colum McCann ha da poco pubblicato il suo nuovo romanzo, Apeirogon (Feltrinelli, traduzione di Marinella Magrì), al cui cuore c’è la stessa storia, quello stesso incendio che non smette mai di bruciare in Medio Oriente, visto con gli occhi di una pace impossibile, possibile nella condivisione delle storie. Rami e Bassam, due uomini sulle due sponde del conflitto, in comune la perdita di due figlie, Smadar e Abir, uccise da uno scontro che non finisce mai.
Abir (a sinistra), figlia del palestinese Bassam Aramin, uccisa a dieci anni da un proiettile israeliano fuori dalla sua scuola in Cisgiordania, e Smadar, israeliana, figlia di Rami Elhana, uccisa a 14 anni in un attentato suicida mentre faceva shopping con i suoi amici a Gerusalemme. L’attentatore era palestinese
“Abbiamo letto troppe volte notizie come queste” mi dice mentre si sistema sulla sedia, i libri impilati alle sue spalle in uno dei tanti set pandemici con cui abbiamo imparato a nostre spese l’arte della messa in scena. Il viso gli si raccoglie dentro una specie di sconfitta. “La storia purtroppo si ripete. Sappiamo già cosa diranno gli uni e che cosa diranno gli altri, e poi anche tutto il resto”. Il sentimento che lo prende è un misto tra la stanchezza, la rabbia, è una forma di estenuazione. La foresta non smette di bruciare da decenni, non è un incendio scoppiato a metà maggio, più spesso brucia da sola, ignorata, insieme a chi ci vive dentro. “Mi chiedo solo quando succederà che una nuova Greta Thunberg uscirà da scuola e comincerà a raccontare in un modo che sarà impossibile non ascoltare”.
L’ascolto è la parola chiave. “John Berger, che ha dedicato molta della sua vita al vedere, diceva che serviva un nuovo modo di ascoltare”. La letteratura si fonda su questo. C’è qualcuno che racconta una storia, e qualcuno che gli apre la porta e lo fa accomodare. E chi racconta non deve smettere mai di farlo. Ciascuno sa che questo comporta un rischio: chi racconta si espone, chi apre la porta contempla la possibilità che chi entra metta in disordine la casa. “Il rischio e il disordine sono due parole fondamentali”, mi dice sfogliando un libro in cerca di una citazione. Intanto New York entra nell’appartamento e nel microfono di Colum, il numero di clacson sembra dire una città ritornata a cento all’ora. La freddezza morbosa dei dispacci di questi giorni parla di traffico aereo chiuso su Tel Aviv, città in lockdown, barricate, fuochi appiccati alle auto e alle case. E di decine di bambini già uccisi, quando anche uno sarebbe già uno di troppo. “Cosa si può fare quando muore un bambino?” si chiede Colum McCann. “La lezione di Rami e Bassam è l’unica possibile: non smettere mai di raccontare la loro storia, la storia di Smadar e Abir”.
Le emozioni sono pericolose
Poco meno di dieci anni fa, insieme a Lisa Consiglio, Colum McCann ha fondato Narrative 4, un’organizzazione ormai diventata una realtà importante, che riunisce attori diversi, artisti, avvocati, attivisti. Si basa su un principio basico: scambiarsi le storie è l’unico modo per reagire. Decine di progetti in tutto il mondo, scambi tra ragazzi che condividono le proprie storie a distanza. “Il punto, per me, non è andare in Israele o nei Territori occupati a cambiare le cose. Il punto è far sì che ragazzi israeliani o palestinesi si raccontino ai coetanei in Kentucky o Algeria, ascoltino le storie altrui, e che poi tornino a casa. L’importante è tornare a casa cambiati dopo aver incontrato la storia di un altro”.
Narrative 4 e la scrittura sono i due versanti su cui McCann si muove, come cittadino e come autore: non a caso fu volando a Gerusalemme con la sua organizzazione che entrò in contatto con Rami e Bassam, a cui poi aprì le porte del romanzo che sarebbe venuto. Lo strumento, sui due fronti, è comune: lasciar entrare l’altro, essere disposti a cambiare il proprio punto di vista. L’empatia è il mezzo: farsi raccontare la storia da un altro, e poi restituirgliela. “Eppure l’emozione non basta, da sola. L’emozione va trasformata in azione. Senza l’azione l’emozione è molto pericolosa”.
Con i suoi 1001 brevi capitoli, Apeirogon, è la monumentale messa in scena di quanto la letteratura può fare in questo caso. Accettare la complessità del mondo, e fare di quella complessità una visione. Lasciar fuori la semplificazione, costruire uno spazio in cui ospitare il casino, come direbbe Beckett. “Dovremmo accettare di dire “non lo so”, o “sono confuso””, quando ci troviamo di fronte all’incendio che divampa a Tel Aviv. Il “non lo so” come strumento primo di azione conoscitiva, letteraria, politica. “Tutti sanno sempre, hanno tutti una versione da fornire”. Invece che il celebre “Io so” pasoliniano, “Io non so”, e per questa specifica ragione mi metto in ascolto con tutto il corpo. Raccontami la tua storia e io ti racconterò la mia, ne usciremo sconvolti.
Apeirogon tiene insieme tutte queste storie, facendo divampare per frammenti il rovescio esatto di quell’incendio che brucia ogni cosa. In un caleidoscopio che tiene insieme l’istinto enciclopedico a dire tutto e l’amore più vivo per tutto ciò che è umano, Colum McCann ci consegna in qualche modo una pietra miliare. Non tanto di come si risolve il conflitto in Medio Oriente, ma di come si possano trasformare lo sconforto in processo di conoscenza, la sconfitta in azione, la letteratura in pratica d’emergenza.
“L’emergenza è fondamentale, ma non nel significato cui ci riferiamo comunemente. Pensa agli uccelli quando si mettono in volo, alla forma che descrivono quando sono tutti insieme in un volo migratorio”. Si tratta di sistemi complessi chiamati “comportamenti emergenti”: presi tutti insieme sono molto più della somma dei singoli uccelli nello stormo. Avviene qualcosa di inspiegabile e misterioso, che solo la scienza sa descrivere ma non sa spiegare del tutto. Una massa in movimento aumenta la potenza a dismisura. Uno stormo: l’inspiegabile moltiplicazione della forza.
Ottimismo della volontà
La luce del Texas rovescia troppa luce nello schermo, chiudo la tenda del mio studio. Ed è così che nella penombra che unisce Houston a New York, Colum e io voliamo in un cielo molto più grande, inseguendo stormi migratori. “Non so cosa dire quando leggo notizie come queste, e non riesco a pensare che ci sia una via d’uscita. Ma come direbbe Gramsci: sono un ottimista della volontà, e penso quindi che raccontare la propria storia, continuare a farla, sia la via da praticare”. Forse una storia che vola da sola non è sufficiente, anche cento forse non saranno abbastanza. Ma migliaia di storie che battono le ali nel cielo di Tel Aviv, che dicono il dolore e l’insensatezza, possono far succedere qualcosa di stupefacente.